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martedì 26 gennaio 2016

IV Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 1,4-5.17-19)
Nei giorni del re Giosìa, mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti».
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 12,31-13,13)
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,21-30)
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
 
Il vangelo di questa settimana è la continuazione di quello di domenica scorsa. Là avevamo sentito Gesù leggere nella sinagoga di Nazarath il passo del profeta Isaia (con l’omissione dell’ultimo versetto) che in qualche modo era l’autopresentazione di Gesù e dunque del volto di Dio che lui ha voluto rivelarci; qui leggiamo invece della reazione dei presenti: la meraviglia iniziale che si tramuta improvvisamente in rifiuto.

martedì 19 gennaio 2016

III Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro di Neemìa (Ne 8,2-4.5-6.8-10)

In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza. Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 12,12-30)

Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,1-4; 4,14-21)

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

 

Una piccola introduzione didattica…

L’anno liturgico, cioè il calendario della Chiesa, non inizia il 1° gennaio come quello civile, ma la I Domenica di Avvento. È in quell’occasione che “si cambia” l’evangelista di riferimento: un anno si legge Matteo (anno A), un anno Marco (anno B), un anno Luca (anno C).

Domenica 29 Novembre 2015, I domenica di Avvento, è iniziato dunque l’anno nuovo per la Chiesa, un anno C, in cui perciò leggeremo il vangelo di Luca.

In realtà non abbiamo ancora avuto molto modo di gustarlo, perché in avvento e poi durante le feste natalizie abbiamo spesso ascoltato anche brani degli altri evangelisti.

Ma due settimane fa il Tempo di Natale è finito e settimana scorsa abbiamo iniziato il Tempo Ordinario, che verrà interrotto in Quaresima e nel Tempo di Pasqua, per poi riprendere e accompagnarci fino al prossimo avvento, cioè al prossimo anno liturgico.

In realtà settimana scorsa, quando abbiamo iniziato il Tempo Ordinario, la Chiesa ci ha fatto leggere un testo di Giovanni (e non di Luca), le nozze di Cana.

Oggi perciò è il primo vero incontro con il testo di Luca.

Dico questo per spiegare il motivo per cui, a messa, sentiremo un vangelo diviso in due parti: la prima tratta dall’inizio del vangelo di Luca (capitolo 1, versetto 1…), che è poi la sua introduzione; la seconda collocata già al capitolo 4.

La prima parte è proposta perché, appunto, è la prima domenica in cui ci possiamo, con calma, accostare al testo lucano, e la Chiesa vuole che inquadriamo l’evangelista di quest’anno:

«Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto».

Luca si presenta così.

Scrive a “Teòfilo” (che potrebbe essere un cristiano della sua comunità, ma anche “teo-filo” = amico di Dio, in greco, e perciò qualunque persona si senta “amica di Dio”) e l’intento è quello di fondare la fede in Gesù Cristo, in modo che non ci sia dubbio sulla solidità del credito accordatogli.

Luca dice che ha fatto ricerche accurate su ogni circostanza, “fin dagli inizi”, infatti insieme a Matteo è l’unico evangelista che parla dell’infanzia di Gesù.

È per questo che l’inizio del suo ministero pubblico, inizia solo al capitolo 4, che, non a caso, è quello della seconda parte del brano di oggi.

Giovanni, settimana scorsa, aveva presentato l’inizio della vita pubblica di Gesù a Cana di Galilea, Luca, lo presenta a Nazareth. Già questo ci dà un’indicazione importante: le ricostruzioni che gli evangelisti fanno del materiale su Gesù (racconti orali e testi scritti) non seguono un criterio cronachistico, non contengono cioè l’interesse e la pretesa di voler raccontare come effettivamente si sono svolti i fatti. L’intenzione con cui il materiale è organizzato in una storia è piuttosto quella di far capire a chi legge chi è Gesù e quale Dio ci ha rivelato.

Se per fare questo serve mettere un episodio prima, un altro dopo, anche se non si sono svolti effettivamente in quella successione, non fa problema, perché lo scopo, come si diceva, è un altro: non ricostruire la storia di Gesù secondo criteri storiografici moderni (che allora nemmeno esistevano), ma far emergere, dall’intreccio narrativo sviluppato, l’identità di Gesù, e dunque quella del Padre suo.

Veniamo dunque al testo che Luca ha scelto di mettere come primo episodio della vita pubblica di Gesù. Siamo a Nazareth, il paese dov’egli è cresciuto e, come ci dice Luca stesso, «secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere».

Non sappiamo se il testo di Isaia che l’evangelista ci fa leggere sia effettivamente il testo che Gesù ha letto quel giorno nella sinagoga di Nazareth, la prima volta che diceva qualcosa pubblicamente, sappiamo però che certamente Gesù, da buon ebreo, conosceva quel testo e possiamo ipotizzare che, se la prima comunità cristiana lo ha ritenuto così centrale da costruirci sopra un brano evangelico (collocato peraltro da Luca in una posizione così fondamentale – la prima), significa che questo testo di Isaia era molto caro a Gesù, il quale deve averlo usato per mostrare qual era il suo modo di intendere il Regno di Dio, cioè il mondo come Dio lo vuole, cioè come a Dio piacerebbe fosse il mondo.

Ad ogni modo, è un testo in cui la prima Chiesa ha riconosciuto una descrizione azzeccata per dire chi è Gesù, e quindi chi è Dio.

La nuova traduzione CEI (quella del 2008), riporta così le parole di Isaia (non quelle in cui Luca lo cita):

«Lo spirito del Signore Dio è su di me,

perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione,

mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,

a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,

a proclamare la libertà degli schiavi,

la scarcerazione dei prigionieri,

a promulgare l’anno di grazia del Signore».

Luca, dunque, ci presenta Gesù così.

A tutti i “teo-fili” della storia, interessati a fondare solidamente la loro fede in Dio, propone questi tratti e non altri.

Poteva per esempio aggiungere, sempre prendendolo da Isaia, “mandato a promulgare il giorno dei vendetta del nostro Dio” (che era la frase immediatamente successiva a quella sull’anno di grazia), e invece no, la citazione si interrompe prima.

Per descrivere Gesù le parole di Isaia sono azzeccate fino a lì: in quelle parole Luca ha trovato dipinto il volto del rabbi di Nazareth e le ha regalate alle successive generazioni cristiane, perché non si sbaglino, non si confondano su chi è Gesù, cioè su come è fatto Dio...

martedì 12 gennaio 2016

II Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 62,1-5)

Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 12,4-11)

Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-12)

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

 

In questa Seconda Domenica del Tempo Ordinario, la Chiesa ci presenta l’inizio della vita pubblica di Gesù, secondo l’evangelista Giovanni. Si tratta della narrazione del noto episodio della trasformazione dell’acqua in vino a Cana di Galilea, durante un festa di nozze.

Quest’anno, ciò che ha attirato la mia attenzione è stato il fatto che questo brano, immediatamente mi suscitasse un certo disagio. Il racconto è famoso, ma risulta comunque sempre un po’ ostico: servirebbero diversi ragionamenti per spiegare la risposta, apparentemente scortese, di Gesù a Maria; così come il senso del segno del cambiamento dell’acqua in vino, ecc…

Allora ho provato a dar retta al mio disagio e provare a staccarmi dalla trama del discorso, per vedere se emergeva qualcos’altro. E in effetti mi è venuto qualche pensiero.

«Non hanno vino» è la constatazione di Maria.

Mi è parsa una bella immagine per descrivere, non tanto e non solo la situazione storica contingente di quel matrimonio, ma in generale la condizione dell’umanità di sempre. Oggi, per esempio, nella vita di questa nostra generazione umana a cavallo tra II e III millennio, mi pare un’espressione molto evocativa il provare a connotarla con «Non hanno vino», che vuol dire che non stiamo bene, non siamo in festa, non siamo allegri, non tanto di quell’allegria euforica e passeggera che connota alcuni momenti della vita, ma di quella più strutturale che presenta l’esperienza del passere su questa terra come qualcosa di fondamentalmente bello.

Non abbiamo vino, non c’è che dire…

A fronte di questa situazione, il vangelo odierno ci presenta una svolta: Gesù dice di riempire di acqua le anfore di pietra usate per la purificazione rituale. E quell’acqua, diventa vino.

Non suggerisce di prendere giare qualunque, ma quelle destinate all’acqua da usarsi per la purificazione. Quell’acqua diventa vino.

La trasformazione che ridona vino alla festa di nozze, e – dunque – seguendo il ragionamento precedente, alla vita dell’umanità, non riguarda un’acqua qualsiasi. È l’acqua della purificazione che va trasformata: che va cioè in qualche modo abbandonata, per lasciare spazio a qualcos’altro.

Quell’acqua non è in grado di dare gioia, va trasformata in vino.

Come a dire che per trovare la vita, la purificazione è sterile. Una religiosità, che in fin dei conti è un modo di pensare la vita e di pensarsi nella vita, fondata sulla necessità di purificarsi, cioè sulla necessità di pulire lo sporco che abbiamo addosso, la schifezza che siamo, non fa trovare la vita.

È l’introduzione della novità del vino che dà gioia, dà vita vera, vita bella.

E questo vino è Gesù. È lui il vino buono, tenuto per quando il pasto è già avanzato.

E non può che essere così. La vita, infatti, solitamente si svolge in questo modo: nasciamo, cresciamo e man mano ci imbattiamo in acqua, acqua per la purificazione, vino; cioè in esperienze che ci dissetano, ci danno l’illusione di essere buoni (puri), finanche in esperienze che ci fanno felici. Esse però, solitamente, sono seguite dal vino nel cartone, cioè da esperienze che smentiscono l’intuizione di bellezza e bontà della vita. E spesso, magari senza accorgercene finiamo alcolizzati… incapaci di staccarci dal nostro cartoccio di vino, che non dà vita, ma almeno riempie di qualcosa il vuoto di una vita senza vino buono.

Oppure, sprezzanti verso gli alcolizzati, ci rifugiamo nell’acqua della purificazione, anch’essa incapace di dare vita, ma se non altro portatrice di quell’illusione di essere migliori (o meno peggio) di quegli altri che si scolano il vino nel cartone.

E, invece, all’umanità senza gioia, Gesù si propone come il vino buono, che arriva quando non credi nemmeno più che esista, che sia possibile un rifiorire della vita.

All’uomo, radicalmente sfiduciato sulla bellezza della vita, avviluppato e avvinghiato, apparentemente senza rimedio, dallo squallore dell’esistenza, convinto ormai che quella desolazione sia la vita, Gesù mostra la sua buona notizia, il suo vangelo: esiste davvero il vino buono ed è possibile per me berne. Quell’intuizione che i vini della vita mi avevano fatto intravvedere non erano le mere illusioni di uno sprovveduto un po’ troppo idealista: contenevano una verità: c’è il vino buono e io posso berne.

martedì 5 gennaio 2016

Battesimo del Signore


Dal libro del profeta Isaìa (Is 40,1-5.9-11)

«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito (Tt 2,11-14;3,4-7)

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,15-16.21-22)

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

Domenica celebreremo la festa del Battesimo del Signore, il cui racconto quest’anno ci è presentato nella versione di Luca. È un testo molto noto che, peraltro, nelle diverse presentazioni degli evangelisti, leggiamo ogni anno. Vorrei perciò soffermarmi quest’oggi solo su un’espressione: «il cielo si aprì».

Essa infatti mi ha fatto ripensare al vangelo di settimana scorsa, il Prologo poetico di Giovanni. Durante la messa mi aveva colpito – rileggendo quel testo – la parola “presso” («il Verbo era presso Dio»), che è un termine che nell’ultimo anno della mia vita ho riscoperto.

Infatti, abitando insieme ad altre persone, quando qualcuno mi scrive una lettera o una cartolina, deve indirizzarla a Chiara Giuliani, c/o Fraternità carmelitana ecc… c/o, presso. Vuol dire che io sono lì, abito lì, sto lì dentro…

Non ci avevo mai pensato, ma nel Prologo si dice che da sempre Gesù è c/o Dio: se vuoi scrivergli una cartolina devi indirizzarla lì.

venerdì 1 gennaio 2016

II Domenica di Natale


Dal libro del Siràcide (Sir 24,1-4.12-16)

La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti”. Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 1,3-6.15-18)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,1-18)

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

 

Il vangelo non è un libro di morale, ma un libro di teologia. Non ci vuole insegnare cosa dobbiamo fare, ma ci racconta chi è Dio e (quindi) chi è l’uomo, perché parla sempre di Dio narrando la sua storia con l’uomo.

Ogni volta che ci troviamo di fronte a un brano di vangelo dovremmo chiederci: cosa ci dice di Dio? Cosa ci dice dell’uomo?

Fare questo oggi, è particolarmente indicato:

 

 
DI GESÙ
 
DEGLI UOMINI
In principio era il Verbo
(c’è da sempre)
Sono stati generati da Dio
 
Il Verbo era presso Dio
(c/o ® come si dice di chi abita presso…)
 
Ha fatto tutto ciò che esiste
 
 
 
In lui c’è la vita
 
 
È la luce vera venuta nel mondo
 
Ogni uomo è illuminato dalla luce vera
 
Dà il potere di diventare figli di Dio
 
Hanno il potere di diventare figli di Dio
 
Si è fatto carne
 
Hanno contemplato la gloria di Dio
(hanno visto quanto è bello)
 
È venuto ad abitare in mezzo a noi
 
 
È pieno di grazia e di verità
 
Hanno ricevuto grazia su grazia
(non “grazie” ma grazia = amore gratis)
 
Ha rivelato Dio
(ci ha raccontato chi è Dio)
Sanno la verità
(sanno come è fatto Dio)

 

 

 

Ecco il vangelo: ecco la buona notizia.

Qualsiasi cosa esca da questa identità di Dio e dell’uomo, ci apparisse anche religiosa, non è evangelica, non è cristiana.

Mi piacerebbe che iniziassimo quest’anno confrontando le nostre presunte verità (teologiche, morali, esistenziali) con questa verità, che parla solo di vita, luce, grazia, verità, abitare, generare, stare presso…
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