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martedì 26 maggio 2015

La Trinità


Dal libro del Deuteronòmio (Dt 4,32-34.39-40)
Mosè parlò al popolo dicendo: «Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo? O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi? Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre».
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,14-17)
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
 
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
 
Chiuso il Tempo di Pasqua con la celebrazione della Pentecoste, Lunedì è ricominciato il Tempo Ordinario, che avevamo già incontrato nelle Domeniche tra il Tempo di Natale e quello della Quaresima, e che ci accompagnerà fino alla fine di questo anno liturgico, cioè fino a quando, con il prossimo Avvento, inizierà l’anno nuovo: abbiamo perciò davanti a noi circa sei mesi di Tempo Ordinario.
Ma chi si aspettava, già per questa prima Domenica dopo Pentecoste, una Liturgia della Parola “ordinaria” (e magari ne aveva anche un po’ nostalgia…), dovrà invece fare i conti col fatto che la Chiesa ponga proprio in questa Domenica (e anche nella prossima, quando celebreremo il Corpus Domini) una delle solennità più significative per la comprensione del mistero cristiano: la Trinità.
È di questo dunque che dobbiamo parlare oggi…
…anche se non nascondo una certa resistenza nel farlo, perché mi pare che la precomprensione un po’ semplicistica e materialistica che abbiamo di questi contenuti di fede, sia davvero troppo invincibile perché si riesca a fare un discorso capace di incidere sul nostro vissuto.
Cosa intendo dire?
Che la situazione di una persona di cultura cristiano-cattolica che sente parlare di “Trinità” potrebbe essere tratteggiata in questo modo:
1.      il rimando immediato e istintivo che ha, di fronte a questa parola, non è il vangelo, ma il Catechismo;
2.      la sensazione prima è quella di essere di fronte a qualcosa di “pericoloso”, su cui non si può scherzare, né fare domande: c’è di mezzo l’eresia e l’atavica paura cattolica di fronte ad essa (perché voleva dire morire… sul rogo!);
  1. il mistero della Trinità perciò non va indagato, ma “preso”, più o meno con le stesse modalità con cui si terrebbe in mano una scoria radioattiva;
 4.      e se mai salisse alla mente una domanda sul significato di questa parola “strana”, essa verrebbe immediatamente bypassata ricordando che il “mistero della Trinità” non per niente si chiama “mistero” e che se proprio si vuole dire cosa significa, basta guardare al dogma: “Un unico Dio in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo”…
  1. e se ci sentiamo ancora quelli di prima… amen… vedi il punto 3.
 
Forse esagero un po’… ma la mia impressione è proprio questa… che tutti conosciamo questa parola, tutti sapremmo ripetere il dogma, tutti saremmo pronti a difenderlo con le unghie, ma poi…
… poi questa cosa non si declina in nessun modo nel nostro agire, pensare, parlare… cioè: non ha incidenza alcuna sul nostro vivere da uomini e da cristiani.
Forse allora è necessario provare a partire da un altro punto di vista, che è poi quello da cui è partita la Chiesa: e cioè che Gesù nella sua storia ha parlato (nel senso forte che si può dare a questo verbo) del Padre e dello Spirito, anzi, più radicalmente si è detto sempre in relazione al Padre e allo Spirito, quasi che la sua identità non fosse dicibile se non dentro a questa relazione. Gesù è cioè chi non può essere detto senza contemporaneamente dire Padre e Spirito.
Allora, è dentro a questa dinamica che siamo chiamati ad immergerci (battezzarci), abbandonando la visione “cosale” della Trinità (Dove stanno? Come fanno a essere uno e tre? Come devo rivolgermi loro? Sempre con in testa il Padre con la barba, Gesù lì con Lui nell’alto dei cieli e lo Spirito che non si capisce bene se è lì o qui o un po’ qui e un po’ lì…) per accedere ad una prospettiva relazionale, per la quale io – come uomo – non posso dirmi se non in relazione a Dio, che a sua volta non può che essere Padre (pensabile sempre e solo come in relazione al Figlio e allo Spirito), Figlio (pensabile sempre e solo come in relazione al Padre e allo Spirito) e Spirito (pensabile sempre e solo come in relazione al Padre e al Figlio).

lunedì 18 maggio 2015

Domenica di Pentecoste


Dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati (Gal 5,16-25)

Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,26-27; 16,12-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

Ed eccoci giunti all’ultima domenica del Tempo di Pasqua, con l’invito della Chiesa a soffermarci sul dono dello Spirito santo a Pentecoste. Come già dicevamo domenica scorsa per l’Ascensione, anche la scansione temporale dei 50 giorni dopo Pasqua (introdotta da Luca) ha una funzione pedagogica, non materialistica, tant’è vero che l’evangelista Giovanni colloca il dono dello Spirito addirittura sulla croce: «Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,30). L’intenzione della dilatazione temporale di Risurrezione, Ascensione e Pentecoste, che la Chiesa ha fatto sua, è dunque quella di dare tempo e spazio per la riflessione su ciascuno di questi eventi, non quella di utilizzare lo schema temporale (domenica di Pasqua – 40 giorni – Ascensione – altri 10 giorni, quindi 50 dopo Pasqua – Pentecoste) come marchingegno logico per introdurre domande inappropriate; quali: ma in quei 10 giorni tra l’Ascensione e la Pentecoste il mondo è stato senza la presenza di Dio, dato che Gesù era asceso e lo Spirito non ancora donato?

Piuttosto, come dicevamo, i tre “momenti” (Risurrezione, Ascensione, Pentecoste) vanno presi insieme, come un unico evento, che potremmo ritradurre con queste parole più laiche: dopo la morte di Gesù, i suoi discepoli hanno fatto esperienza che non era finito tutto. E hanno provato a declinare questo “non tutto è finito” con dei racconti e delle immagini che evocassero la realtà che vivevano.

In particolare i racconti che riguardano l’esperienza della nuova presenza del Signore, nel suo Spirito, fanno riferimento al fuoco e al vento forte.

lunedì 11 maggio 2015

Ascensione


Dagli Atti degli Apostoli (At 1,1-11)
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 4,1-13)
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
 
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 16,15-20)
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
 
La festa dell’Ascensione ci riconsegna tra le mani il problema della vita della Chiesa dopo l’assenza “fisica” di Gesù risorto. Il problema è sostanzialmente il medesimo: gli apostoli hanno incontrato Gesù risorto, hanno parlato con lui, hanno mangiato con lui, ma oggi quest’esperienza non è più possibile, in quei termini: come dico ai miei bambini, “non è che dietro la pianta potete vedere Gesù risorto che vi fa cucù”.
Il racconto dell’ascensione nasce perciò proprio per rendere conto di questa impossibilità di incontrare oggi il Signore risorto in quella forma che ci è stata trasmessa dal racconto delle sue apparizioni.
Si aprono perciò alcuni interrogativi:
-          È possibile comunque incontrare ancora il Signore oggi, seppur in un’altra forma?
-          Quale deve essere la vita dei cristiani alla luce di questa apparente assenza?
 
Riguardo alla prima domanda, le testimonianze del Nuovo Testamento affermano con forza che l’ascensione non è un abbandono. Il Signore non ci consegna ad una orfanità storica: egli è ancora presente («il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano»), ma in una forma diversa. Questa forma verrà poi spiegata con il dono del suo Spirito a Pentecoste, ma, senza introdurci nel difficile districarsi tra persone della Trinità, l’elemento centrale cui rimandano i testi è la certezza dell’accompagnamento costante di Dio o meglio, del fatto che siamo come immersi in Lui. Spiegavo, sempre ai miei bambini a scuola: “quando eravate piccoli coloravate il cielo di azzurro solo in alto, come una strisciolina nella parte alta del foglio. Crescendo avete scoperto che il cielo, l’aria non è solo lassù, ma ci avvolge e ci circonda. Così è Dio: non è solo lassù, ma ci avvolge e ci circonda come l’aria”.
 

 
 
Questa è la nuova forma della sua presenza.
Alla luce di questo: quale deve essere allora la vita dei cristiani? Il vangelo di Marco è esplicito: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato (= immerso) sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Questi sono dunque i pilastri della vita dei cristiani:
-          L’annuncio (con la vita e non tanto con le parole) della buona notizia che Dio ci ama;
-          Il battesimo, cioè l’immersione di ogni uomo in questo amore;
-          Lo scacciare i demòni (non quelli fantasmici della televisione, ma quelle ferite che adombrano il cuore e bloccano il circuito dell’amore, della fantasia, della felicità);
-          Il parlare lingue nuove (non solo “lingue straniere”, ma la lingua, il linguaggio personale di ciascun uomo, per riuscire a intercettarlo e comunicare con lui nelle profondità del suo cuore);
-          Il prendere in mano i serpenti e non esserne avvelenati (cioè affrontare il male del mondo, senza rilanciarlo mai, senza farsene intaccare il cuore, ma tenendo limpido lo sguardo su cosa è “giustizia”);
-          Il guarire i malati (compito non solo dei medici, ma di chiunque si fa carico delle ferite dell’altro, nella carne e nello spirito).
 
Buona festa dell’ascensione a tutti.
 

lunedì 4 maggio 2015

VI Domenica di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli (At 10,25-27.34-35.44-48)

Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!». Poi prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (1Gv 4,7-10)

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,9-17)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

 

Il brano di vangelo di questa VI domenica di Pasqua è uno dei più intensi del Nuovo Testamento: condensa infatti tutta la teologia di Gesù.

Peraltro è molto chiaro, in quanto mantiene una consequenzialità davvero degna di un teologo!

Seguiamolo perciò con ordine:

1-      Al primo posto c’è la relazione originaria: quella di Dio Padre con Gesù. Essa è basata sull’amore: «Il Padre ha amato me»;

2-      Segue il nostro coinvolgimento: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi». La seconda affermazione del brano indica il nostro innesto in questa dinamica di amore.

 

Potremmo perciò dire che il nucleo sorgivo della teologia di Gesù è questo circuito di amore tra il Padre e il Figlio in cui, gratuitamente, siamo inseriti anche noi. L’annuncio di Gesù, la sua buona notizia, il suo vangelo è perciò il seguente: il mondo, e ciascuno di noi, è avvolto e pensato dentro ad una logica di amore.

3-      Segue poi l’invito a rimanere in questo amore: «Rimanete nel mio amore».

 

A noi, sempre “colpevolmente” preoccupati di non essere graditi a Dio (“colpevolmente” perché dato l’originario annuncio non c’è spazio per la preoccupazione di un’eventuale ritorsione di Dio, che invece – come mostra bene il brano di Genesi 3, indicando in cosa consista il peccato – noi sempre reintroduciamo con la nostra diffidenza), di fronte a questa affermazione viene subito da chiederci: cosa vuole Dio da noi per rimanere in questo amore? Per non esserne scartati? Per non esserne esclusi?

Guardiamo cioè immediatamente a quel «Rimanete nel mio amore», come ad una limitazione del suo amore. Inizialmente ha affermato che era incondizionato e invece… eccola la condizione… E immediatamente scatta in noi l’ansia di dover assolvere a questa condizione; oppure la rabbia contro un Dio che si propone come incondizionatamente amoroso, ma che immediatamente dopo l’annuncio di questo amore incondizionato, eccolo lì a porre condizioni, a volere qualcosa da noi, come sospettavamo…

4-      Tutti questi nostri timori trovano addirittura apparente conferma quando Gesù aggiunge cosa è necessario fare per rimanere in questo amore: osservare i comandamenti, fare ciò che vi comando.

 

A noi infatti, le parole “comandamenti”/“comando” evocano tutta una serie di norme morali, iter spirituali, regole liturgiche che fanno ulteriormente accrescere l’ansia, data dalla consapevolezza che non riusciremo mai ad incastrare in essi la nostra vita e nemmeno il nostro modo di essere.

5-      Ma ecco la sorpresa che fa infrangere tutta questa perversa logica religiosa contro la benevola spiegazione di Gesù su cosa siano questi comandamenti, ciò che egli ci comanda (una spiegazione che Gesù accosta alle sue parole perché, probabilmente, conoscendo bene l’animo umano, sapeva che l’avremmo frainteso). Egli infatti immediatamente aggiunge: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». Ribadendo poi in seguito: «Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Il rimanere nell’amore di Dio coincide dunque, non con una serie di norme, codici, regole, ecc., ma con il ricircolo di quel medesimo amore con cui noi per primi siamo stati amati. A ben guardare, quella che a noi poteva sembrare una condizione che restringeva il campo dei “salvati”, in realtà è un allargamento che non ha più confini, perché tutti coloro che vengono al mondo su questa terra sperimentano almeno un frammento di questo circuito di amore. Inoltre, quello che a noi aveva immediatamente suscitato l’ansia, perché, in quanto comandato, avevamo pensato fosse qualcosa che ci avrebbe limitato nella libertà, nell’espressività, nella fantasia, qualcosa che ci avrebbe impedito di gustare la pienezza della vita, in realtà si rivela qualcosa che potenzia la vita, che ci spinge verso il bello, verso il buono, verso il gustoso della vita: l’amore.

6-      Tant’è che Gesù lo dice: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». A noi sempre incartati nella logica per cui il male sarebbe più bello, ma ci rinuncio per evitare la punizione divina, Gesù viene incontro sorridente dicendo che non ci chiede di rinunciare al bello (al bello della vita) per guadagnarci il paradiso. Anzi, ci racconta di una bellezza prima inaudita e insperata: il bello della vita è sapersi amati dall’origine e per sempre e poter dunque vivere da amanti, non da paurosi, non da rattrappiti, non da mortificati. È lui che ci svela (ci pulisce gli occhi) e ci mostra i bello della vita: «che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi», «perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga».

 

Ecco tutta la teologia di Gesù, su cui dovremmo riscrivere la nostra: una teologia che esplode di amore, di fecondità, di bellezza e non lascia spazio al tetro, al triste, al mortificante.
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