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lunedì 27 luglio 2015

XVIII Domenica del tempo ordinario


Dal libro dell’Èsodo (Es 16,2-4.12-15)

In quei giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine». Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”». La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 4,17.20-24)

Fratelli, vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri. Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,24-35)

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

 

In questa Diciottesima Domenica del Tempo Ordinario continua il discorso sul pane del cielo, che l’evangelista Giovanni aveva iniziato al primo versetto del sesto capitolo e che costituiva il vangelo di domenica scorsa (Gv 6,1-15). Come dicevamo, siamo infatti all’interno di un ciclo di 5 domeniche che si concentrano proprio su questo argomento, di cui oggi ci è proposta la seconda “tappa”.

Il brano odierno riprende dal versetto 24. Ci sono 8 versetti di “stacco” rispetto alla conclusione del testo di domenica scorsa (v. 15), che sono quelli in cui è narrato lo “spostamento” di Gesù all’altra riva del lago e la presa di coscienza della folla della sua assenza.

Il testo di oggi ricomincia infatti con il “ritrovamento” di Gesù da parte della folla ed è incentrato sul loro dialogo:

1 Folla: «Rabbì, quando sei venuto qua?»;

 

2 Gesù: a «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.

b Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna

c e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo»;

 

3 F: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?»;

 

4 G: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato»;

 

5 F: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”»;

 

6 G: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo»;

 

7 F: «Signore, dacci sempre questo pane»;

 

8 G: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

 

Proviamo a riprenderlo con qualche annotazione:

mercoledì 22 luglio 2015

XVII Domenica del Tempo ordinario


Dal secondo libro dei Re (2Re 4,42-44)
In quei giorni, da Baal Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 4,1-6)
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,1-15)
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
 
Con questa Diciassettesima Domenica del Tempo Ordinario, la Liturgia lascia la narrazione di Marco per aprire un ciclo di 5 settimane in cui ci viene proposto quasi per intero il sesto capitolo del vangelo di Giovanni.
La narrazione del miracolo della moltiplicazione dei pani, diventa lo spunto per l’evangelista per intessere un lungo discorso eucaristico su Gesù pane di vita, discorso che “sostituisce” la narrazione dell’ultima cena che in Giovanni manca (al suo posto è infatti narrata la lavanda dei piedi).
Di domenica in domenica, cercheremo quindi di metterci in ascolto di questa proposta giovannea, per tentare di intercettare le numerosissime tematiche che offre.
Oggi si tratta di focalizzarsi sull’incipit e sull’occasione (il fatto!) che ingenera questo lungo discorrere dell’evangelista: la moltiplicazione dei pani (narrata ben sei volte nel Nuovo Testamento!).
Ebbene: la moltiplicazione dei pani e dei pesci… una delle pagine più raccontate e più note del NT, eppure anche, contemporaneamente, una delle più “incomprensibili” e per questo – almeno personalmente – una di quelle che ingenerano più insofferenza.
 
Tante cose sono state dette in proposito, alcune anche molto belle e profonde:
1) c’è chi parla di questo testo, presentandolo semplicemente come un miracolo, nel senso comune del termine (come spesso è rappresentato anche nei film su Gesù, con queste ceste che non si svuotano mai e continuano a sfornare panini);
2) c’è chi prova ad andare un po’ più al di là del significato letterale e – anche alla luce dei testi dell’AT (come quello della I lettura) – prova a darne un’interpretazione diversa: questo segno della moltiplicazione starebbe ad indicare un tratto del volto di Dio, cioè Colui che nutre il suo popolo;
3) c’è chi prova a sottolineare – nella nostra versione giovannea – la presenza del ragazzo coi suoi pani e i suoi pesci: Gesù moltiplicherebbe perciò non tanto il cibo, ma la disponibilità dell’uomo – di alcuni uomini – a farsi carico della fame altrui;
4) c’è chi infine sottolinea unicamente il tratto eucaristico della narrazione giovannea.
In effetti – tranne forse il primo, un po’ ingenuo - sono tutti aspetti veri e significativi del testo. Eppure a me pare che rimangano aperte alcune questioni, che non riescono a togliermi la sensazione di insofferenza cui facevo cenno prima:
1) la prima interpretazione, mi fa salire alle labbra questa obiezione: non sarebbe da superare l’idea di un Gesù-mago che estrae dal cilindro panini, invece che conigli? L’idea magica di un Gesù che con uno zac risolve i problemi degli uomini e delle donne che incontra non può essere quella corretta. Se il suo scopo fosse stato di proporsi così, non avrebbe nessun senso che tutti quelli prima di lui e dopo di lui avessero continuato ad avere fame, ad ammalarsi, a morire, ad essere esclusi, ecc…
2) la seconda interpretazione è quella che sento più conforme al mio modo di leggere e capire il vangelo. In tutto quello che Gesù dice, fa ed è, vi è in gioco la rivelazione del Padre suo e nostro; per cui indubbiamente il dar da mangiare di Gesù alla folla rimanda alla cura di Dio per il suo popolo (come è narrata nell’AT) e per tutta l’umanità. Eppure noi sperimentiamo con fin troppo evidenza, anche se siamo assai abili e veloci a dimenticarcene, che la gente ha continuato e continua a morire di fame: di tante fami, certo, si muore, ma proprio anche di quella fisica. Dire allora che la moltiplicazione dei pani sarebbe simbolo della cura di Dio per il suo popolo, rischia di diventare grottesco. Soprattutto se si arriva a dire che il dare da mangiare fisico del vangelo in realtà era un simbolo di un altro dare da mangiare di Dio all’umanità. Gesù avrebbe dato cioè da mangiare il pane, per far capire che Dio dà da mangiare la sua parola, la sua benevolenza, o simili… non il pane vero (e infatti la gente continua a morire di fame)… quello era solo un esempio…
3) la terza interpretazione è strettamente legata alla seconda e mi è, anch’essa, molto cara: proprio perché il dare da mangiare di Dio non può che essere spirituale, il dar da mangiare materiale è compito degli uomini, dei cristiani: ecco il senso del moltiplicare, non tanto il pane in sé, ma la disponibilità di ciascuno a prendersi cura della fame altrui. Essendo però “figlia” della seconda interpretazione, ne importa le problematiche…
4) l’interpretazione eucaristica, certamente giustificata come dicevamo anche all’inizio dal discorso di Gesù sul pane della vita che occupa il capitolo 6 e che sostituisce l’istituzione dell’eucaristia, non rende però troppa ragione del fatto in sé della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Come se Giovanni prendesse un testo già sedimentato nella cultura delle prime comunità cristiane – la moltiplicazione raccontata dai sinottici – e lo utilizzasse per fare al cap. 6 anziché durante l’ultima sera di vita di Gesù il discorso eucaristico.
 
Che dire dunque della moltiplicazione dei pani e dei pesci?

mercoledì 15 luglio 2015

XVI Domenica del Tempo ordinario


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 23,1-6)

Dice il Signore: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore. Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 2,13-18)

Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

 

Capita a tutti – credo – a volte, di volersi ritirare in disparte: in disparte dalle “folle” che attraversano la nostra vita, dai loro e nostri problemi, dalle dinamiche distorte in cui spesso ci troviamo immersi e che ci fanno mancare il fiato… in disparte dalle mille occupazioni quotidiane, dalle cose che bisogna ricordarsi di fare, dagli impegni che gli altri (coi loro ricatti affettivi, con i sensi di colpa che ci provocano, con il senso del dovere a cui ci richiamano…) spesso ci buttato addosso…

In disparte… a rigenerarsi un po’, a fare il punto della situazione, a ricordarsi chi si è e perché (per chi) si è, quasi introducendo una sorta di pausa alla storia, al flusso continuo degli eventi, come a voler fermare per un attimo il tempo e la sua inarrestabile corsa…

Capita – credo – soprattutto a quelle persone che in qualche modo hanno responsabilità su altre, che oltre ai propri problemi devono farsi carico anche di quelli degli altri, di coloro che – stando alla metafora evangelica – ci paiono pecore senza pastore, o in assoluto o per qualche frangente dell’esistenza…

Anche Gesù ha questa esigenza: diverse volte nel Vangelo ci è raccontato di questo suo ritrarsi in disparte da solo o con i suoi discepoli.

Anche il brano di vangelo che la Chiesa ci propone per questa domenica, va in questa direzione. Due in particolare sono gli eventi che spingono Gesù a ritirarsi in disparte con i discepoli: il loro ritorno dall’esperienza missionaria e la morte del Battista, narrate nei versetti immediatamente precedenti.

mercoledì 8 luglio 2015

XV Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Amos (Am 7,12-15)

In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Amos rispose ad Amasìa e disse: «Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 1,3-14)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,7-13)

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

 

«Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due».

Vorrei fare qualche riflessione, a partire da questa frase del vangelo odierno.
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