Pagine

ATTENZIONE!


Ci è stato segnalato che alcuni link audio e/o video sono, come si dice in gergo, “morti”. Se insomma cliccate su un file e trovate che non sia più disponibile, vi preghiamo di segnalarcelo nei commenti al post interessato. Capite bene che ripassare tutto il blog per verificarlo, richiederebbe quel (troppo) tempo che non abbiamo… Se ci tenete quindi a riaverli: collaborate! Da parte nostra cercheremo di renderli di nuovo disponibili al più presto. Promesso! Grazie.

lunedì 30 marzo 2015

Pasqua


Dal Vangelo secondo Marco (Mc 16,1-7)

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"».

 

Quest’anno ho scelto di commentare il vangelo che si legge il sabato sera, durante la veglia di Pasqua. È tratto dal vangelo di Marco, ma prima di iniziare a dirne qualcosa, qualche precisazione.

Originariamente il vangelo di Marco finiva al v. 8 del cap. 16.

Durante la liturgia del sabato santo invece ci vengono fatti leggere i primi 7 vv. di questo capitolo: viene cioè omesso l’ottavo, che recita così: «Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite».

Questo – come detto – era l’ultimo versetto dell’intero vangelo di Marco, che dunque si concludeva con il mancato annuncio di risurrezione!

È evidente che l’annuncio poi c’è stato, altrimenti non ci sarebbe stato neppure il vangelo, ma Marco con questa finale, voleva ribadire un’ennesima volta l’incomprensione cui la vita di Gesù è stata radicalmente sottoposta. Per la Chiesa invece questa finale era troppo tranchant e perciò successivamente è stata aggiunta quella che viene chiamata la “finale canonica”, cioè i versetti 9-20.

La cosa più dura da mandar giù, ancora oggi, di fronte a quel v. 8, è che i sentimenti esplicitati sono lo spavento, lo stupore e la paura. «Nessun segno di gioia» – commenta don Bruno Maggioni nel suo il racconto di Marco. «Di fronte all’inaudito atto di Dio, da parte dell’uomo, anche da parte delle persone piene di venerazione, che amavano Gesù, che mostrano un certo coraggio, c’è soltanto incomprensione totale» [E. Schweizer, Il vangelo secondo Marco]. Questo v. 8 – sempre secondo Maggioni – «è la conclusione di un motivo che percorre tutto l’episodio e, più ampiamente, l’intero vangelo: Marco infatti non ha perso occasione, lungo il suo racconto, per ricordare l’incomprensione dei discepoli, il segreto messianico, il timore e la paura di fronte alle manifestazioni di Gesù. È la reazione normale dell’uomo non solo di fronte al Gesù terreno, ma anche ora di fronte al Gesù risorto, di fronte alla Parola annunciata dalla comunità. Si direbbe una incomprensione invincibile. Ma non è così: se non altro, di fronte al disorientamento delle donne, c’è la fiducia di Dio che affida ad esse – proprio ad esse – la sua promessa: “andate dunque, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete, come vi disse”. L’incomprensione dell’uomo non arresta il piano di Dio. […] La conclusione del v. 8 non è l’ultima parola: è semplicemente la reazione normale di fronte alla promessa di Dio. La promessa di Dio è l’ultima vera parola».

Il vangelo di Marco si conclude perciò così: con i sentimenti umani dello spavento, dello stupore e della paura e con la promessa di Dio.

Mi pare doveroso fermarsi almeno un attimo su questo punto, prima di andare troppo facilmente a consolarci nella gioia della Pasqua. Anche perché la situazione tratteggiata da Marco, mi pare renda bene lo stato “normale” delle nostre esistenze, molto più della gioia un po’ artificiale che le feste comandate ci inducono ad avere. Noi infatti – abitualmente – e soprattutto di fronte alla consapevolezza o all’esperienza della morte, siamo spaventati, stupiti (ma nel senso di “sconcertati”) e impauriti. Uno spavento, uno sconcerto e una paura che restano in sottofondo anche quando non pensiamo alla morte o quand’essa non ci tocca da vicino: sempre – seppur magari in maniera soffusa e addirittura inconsapevole – siamo un po’ spaventati, sconcertati e impauriti… dalla vita.

Non a caso molte delle nostre scelte (che a volte prendono le fattezze di un dibattersi come dei pesci fuor d’acqua, mentre a volte sono ingessate dentro ad una presunta od ostentata pacatezza e solidità) potrebbero essere lette come i continui tentativi di mettere a tacere quello spavento, quello sconcerto e quella paura, come continui tentativi di silenziarli, di sopirli o di far finta che non esistano, almeno per un po’. Tutto ciò che viviamo è segnato da questo buco nero che ci mangia la vita e cui noi, per placarne un po’ la voracità, siamo pronti a sacrificare qualsiasi cosa: quanto tempo usiamo per fare delle cose che ci facciano sentire vivi, cioè che ci allontanino la paura della morte; quanto relazioni consumiamo per lo stesso motivo?

L’annuncio di risurrezione risuonato duemila anni fa e poi continuamente proclamato per mare e per terra non ha interrotto questa condizione umana. Marco ne era ben consapevole, per questo non dice che le donne erano spaventate, sconcertate e impaurite sotto la croce, ma lo dice immediatamente dopo che hanno ricevuto l’annuncio di risurrezione. È un annuncio che non è magico: non cambia la storia nella modalità di un pulsante che, una volta schiacciato, innesta una situazione nuova. Niente di ciò che riguarda Dio è magico. Tutto è storico: anche l’annuncio di risurrezione, che non cambia la nostra interiorità come un pulsante, ma può iniziare ad interloquire con la nostra condizione di spaventati, sconcertati, impauriti per natura. Per arrivare, forse, a farci muovere qualche passetto verso la fiducia in quella promessa di Dio, che ha l’ultima parola.

lunedì 16 marzo 2015

V Domenica di Quaresima


Dal libro del profeta Geremia (Ger 31,31-34)

«Ecco verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro dicendo: “Conoscete il Signore”, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato».

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 5,7-9)

Cristo, nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

 

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 12,20-33)

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

 

Il vangelo che la liturgia ci propone per questa quinta domenica di Quaresima è tratto dal capitolo 12 di Giovanni. Sebbene questo possa far pensare che si è ancora abbastanza all’inizio della vita pubblica di Gesù (i capitoli totali di Giovanni sono infatti 21), in realtà siamo ormai prossimi alla fine: con il capitolo 12 infatti si chiude la prima parte del vangelo di Giovanni e con il capitolo 13 iniziano i racconti degli ultimi giorni (la lavanda dei piedi).

Il nostro passo è dunque particolarmente significativo perché dopo la risurrezione di Lazzaro e l’ingresso trionfale a Gerusalemme, questo è l’ultimo discorso pubblico di Gesù. Esso è occasionato da un gruppo di Greci, probabilmente proseliti o simpatizzanti del giudaismo, che avvicinatisi a Filippo gli pongono una delle domande esistenzialmente più pregnanti di tutto il Vangelo: «Vogliamo vedere Gesù».

La questione è fondamentale perché essi in questo Gesù che vogliono vedere individuano qualcuno che potrebbe essere significativo in ordine alla risoluzione del problema dei problemi: il rapporto dell’uomo con Dio. Evidentemente la prospettiva in cui questi uomini guardavano a questa problematica non era quella di oggi (per esempio era pressoché data per scontata l’esistenza di Dio o degli dei), eppure anche le nostre corde interiori suonano di fronte a questo “voler vedere”.

Ciò che c’è in gioco infatti non è tanto o non è solo il corretto rapporto dell’uomo con Dio: cioè banalmente cosa l’uomo deve o non deve fare per stare in pace ora e nell’aldilà. Sebbene a volte anche il cristianesimo si sia appiattito su questa visione riduttiva, non si può negare che essa non sia in grado di rispondere all’anelito originario dell’uomo.

Il problema infatti è quello molto più radicale e determinante di quale sia l’origine (non in senso biologico, ma fondativo) della nostra vita, il suo senso, il suo compito e compimento, il suo fine da conciliare con la sua fine. La questione è cioè se ci sia o meno Qualcuno (e chi sia questo Qualcuno) che tiene in mano le fila disperse di quello che siamo (come singoli e come storia), se ci sia Qualcosa su cui vale la pena fondare una vita e anche perderla, se c’è Qualcuno insomma che non permetta che tutto questo sia un meschino gioco del caso che ci fa tornare e rimanere in polvere per l’eternità.

Per questo diventa così importante il vedere. Anche oggi spesso si sente dire: “Ah, se solo potessi vedere Dio”, o viceversa “Non credo in Dio perché non l’ho mai visto”… E quante volte anche a noi sale questo desiderio di una conferma, di una certezza, di una risposta…

lunedì 9 marzo 2015

IV Domenica di Quaresima


Dal secondo libro delle Cronache (2Cr 36,14-16.19-23)

In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 2,4-10)

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,14-21)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

Le letture che la Chiesa ci propone per questa Quarta Domenica di Quaresima sono davvero impegnative, direi quasi scomode…

Risulta faticoso infatti trovare tra di esse un nesso e, anche scegliendo di concentrarsi solo sul vangelo, il compito non pare semplificato.

Questo perché i versetti di Giovanni, proposti dalla liturgia, sono solo una sezione del ben più lungo discorso tra Gesù e Nicodemo, che inizia addirittura 10 versetti prima, e presi così risultano un po’ estemporanei… inoltre il brano scelto consiste in una sorta di approfondimento teologico su quanto precede: una specie di commento a mo’ di monologo, in cui si concentra quasi una sintesi di tutto il messaggio di Gesù nel Quarto Vangelo. Un monologo – non a caso – dal finale aperto (Nicodemo non risponde nulla!)… Ma essendo un discorso che approfondisce quanto precede, per comprenderlo è inevitabile fare un passo indietro e capire cosa lo precede?

Vediamo innanzitutto ciò che l’evangelista ha finora raccontato.

lunedì 2 marzo 2015

III Domenica di Quaresima


Dal libro dell’Èsodo (Es 20,1-17)
In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 1,22-25)
Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,13-25)
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
 
Il vangelo che la Chiesa ci propone per questa III Domenica di Quaresima è il testo dell’evangelista Giovanni che parla della cacciata dal tempio di Gerusalemme.
Prima di spiegare il senso di questo gesto di Gesù è utile fare tre premesse:
1-      La prima riguarda la collocazione di questo brano, che mentre nei sinottici è posto durante gli ultimi giorni della vita di Gesù, quando è giunto a Gerusalemme e lì sarà arrestato e ucciso, Giovanni pone all’inizio del suo vangelo, in una delle sue discese a Gerusalemme in occasione delle festività ebraiche. Mentre cioè i sinottici legano in qualche modo l’episodio al Tempio, con l’inasprimento dei rapporti di Gesù con le autorità religiose di Gerusalemme, che per questo si convinceranno sempre di più della necessità della sua morte, Giovanni presenta la relazione di Gesù col Tempio come un tratto di tutta la sua vita pubblica.
2-      Inoltre – in sede di premessa – va ricordata l’importanza che il Tempio di Gerusalemme aveva per gli ebrei. Esso era stato costruito – secondo la narrazione biblica – dal re Salomone nel X sec. a.C., per collocarci l’arca dell’alleanza contenente le tavole della legge (i 10 comandamenti, di cui ci narra la prima lettura, nella versione di Esodo – ce n’è un’altra versione nel libro del Deuteronomio); era stato distrutto nel VI sec. a.C. dai babilonesi di Nabucodonosor II ed era poi stato ricostruito al ritorno dall’esilio (per essere di nuovo distrutto dai romani nel 70 d.C. e mai più ricostruito, tant’è che oggi, di esso, rimane solo il “Muro del pianto”).
3-      Il tempio di Gerusalemme era costruito secondo uno schema concentrico: nella zona più esterna potevano entrare tutti i fedeli di fede ebraica; poi c’era una prima barriera, che potevano superare solo le persone di razza ebraica; poi c’era un’ulteriore barriera, che potevano superare solo i maschi di razza ebraica; poi un’ulteriore barriera, che potevano superare solo i sacerdoti. Infine nella parte più “sacra” (= separata), il Santo dei Santi, poteva entrare solo il sommo sacerdote, solo una volta all’anno, durante la festa dello Yom Kippur, la festa dell’espiazione. Il Tempio di Gerusalemme al tempo di Gesù – secondo le ricostruzioni – poteva dunque presentarsi in questo modo:

con questi “scompartimenti”:

Il gesto di Gesù va dunque letto in questo contesto. Ciò che Gesù vuol far intendere è che il modo di vivere il rapporto con Dio, così com’era pensato nello schema del tempio (sacrifici, speculazioni pecuniarie sui poveri, separazione tra maschi e femmine, sacerdoti e laici, ecc…), non è il suo.
La proposta di relazione con Dio che Gesù fa è radicalmente diversa: non si tratta di aver paura di Dio, di fargli dei sacrifici, di usare soldi e bestie dei sacrifici per arricchirsi (con la scusa di arricchire il tempio di Dio); non si tratta di separare le persone secondo un ordine di presunta purezza, così che man mano che ci si avvicina al Santo dei Santi, diminuisca sempre più il numero di chi può avvicinarsi a Dio.
Gesù propone un Dio di cui non si può e non si deve avere paura, perché è un Dio totalmente e sempre schierato dalla parte dell’uomo, di qualsiasi uomo; tant’è che il Dio che Gesù ci ha fatto conoscere è un Dio accessibile a chiunque e dovunque («Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. […] Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità», Gv 4,21.23); un Dio che dunque non vuole essere gratificato con dei sacrifici, perché la sua ira sia placata o perché il suo amore sia “pagato”, ma che piuttosto, come già insegnavano i profeti, vuole che l’uomo avvolto nel suo amore impari a sua volta ad amare gli altri, praticando la giustizia.
Ecco perché riassumerà i 10 comandamenti in un unico comandamento, che sarà: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
Per queste sue idee Gesù verrà ucciso; perché la religiosità reagirà di fronte al suo tentativo di smantellarne il potere: perché il Dio di Gesù rompe ogni giustificazione del potere su base religiosa.
C’è da chiedersi se i cristiani siano (stati) fedeli a questa fede.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

I più letti in assoluto

Relax con Bubble Shooter

Altri? qui

Countries

Flag Counter