Pagine

ATTENZIONE!


Ci è stato segnalato che alcuni link audio e/o video sono, come si dice in gergo, “morti”. Se insomma cliccate su un file e trovate che non sia più disponibile, vi preghiamo di segnalarcelo nei commenti al post interessato. Capite bene che ripassare tutto il blog per verificarlo, richiederebbe quel (troppo) tempo che non abbiamo… Se ci tenete quindi a riaverli: collaborate! Da parte nostra cercheremo di renderli di nuovo disponibili al più presto. Promesso! Grazie.

sabato 26 dicembre 2015

Santa Famiglia 2015


Dal primo libro di Samuèle (1Sam 1,20-22.24-28)

Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre». Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (1Gv 3,1-2.21-24)

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,41-52)

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

 

In questa prima domenica dopo Natale, la Chiesa ci invita a soffermarci sulla Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe; e lo fa presentandoci come brano del vangelo il testo di Luca che parla di Gesù dodicenne.

È strano ad appena due giorni da Natale ritrovarsi ad avere a che fare con Gesù già ragazzino ed è soprattutto per questo che ho deciso di concentrare questo commento, più che sul brano proposto, sulla festa in sé: la festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.

Perché mi veniva da pensare che – come dicevamo settimana scorsa per Maria – forse il “modello di famiglia” che la tradizione e la predicazione ci hanno proposto andrebbe un po’ riconsiderato.

Sull’ideale di famiglia che la morale cattolica ha sviluppato nei secoli (e sulla forma sociale che concretamente ha incarnato fino a non poco tempo fa e ancora oggi in molte persone) non serve dilungarsi, credo che tutti sappiano a cosa faccio riferimento: famiglia eterosessuale, con marito lavoratore e donna casalinga nel ruolo di moglie e madre; una famiglia buona, fedele e casta, che abita la sua casa, vive con osservanza le tradizioni religiose del suo popolo, ecc… una “buona famiglia” come si usa dire gergalmente, una “famiglia del mulino bianco” come più efficacemente si dice oggi.

mercoledì 16 dicembre 2015

IV Domenica di Avvento


Dal libro del profeta Michèa (Mi 5,1-4a)

Così dice il Signore: «E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace!».

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 10,5-10)

Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”». Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,39-45)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

 

In questa Quarta e ultima Domenica di Avvento la Chiesa ci propone di riflettere sull’episodio del vangelo di Luca, tradizionalmente titolato “La visitazione”: Maria – dopo aver ricevuto, da parte dell’angelo Gabriele, l’annuncio del concepimento di Gesù – parte «in fretta» per andare da Elisabetta, sua parente.

Per quale motivo Maria si reca da Elisabetta? Secondo un diffuso sentire popolare Maria sarebbe stata spinta dalla carità: si sarebbe cioè recata da Elisabetta per aiutarla.

In realtà da nessuna parte del testo è suggerito che il motivo del viaggio di Maria sia stato questo. Tanto più che Maria ritorna a casa sua prima della nascita del Battista (Lc 1,56): un po’ strano che qualcuno venuto per assistere una parente durante la gravidanza se ne vada proprio prima del parto…

La ragione di questa visita dev’essere perciò un altro

lunedì 7 dicembre 2015

III Domenica di Avvento


Dal libro del profeta Sofonìa (Sof 3,14-18)

Rallègrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 4,4-7)

Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,10-18)

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

 

Rieccoci alle prese con Giovanni Battista.

Il brano di oggi si conclude così: «Giovanni evangelizzava il popolo».

Tenendo presente che “evangelizzare” vuol dire “dare una buona notizia”, non pare che il commento di Luca sia proprio azzeccato: un attimo prima infatti fa dire al Battista: «Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Almeno per la “paglia”, l’annuncio non è lieto, non si tratta proprio di una buona notizia.

Cosa dobbiamo concludere?

mercoledì 2 dicembre 2015

II Domenica di Avvento


Dal libro del profeta Baruc (Bar 5,1-9)
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà». Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 1,4-6.8-11)
Fratelli, sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,1-6)
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
 
In questa Seconda Domenica di Avvento, la Chiesa ci introduce – con le sue letture – in un clima di attesa decisamente più luminoso di quello presentato la settimana scorsa da Lc 21:
-          «Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre» – proclama il profeta Baruc;
-          «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» – gli fa eco Isaia, citato da Luca…
-          E Paolo, nella sua lettera ai Filippesi, non è da meno: «Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù».
Tutta questa effervescenza ovviamente è legata al mistero del Natale di Gesù che – con l’Avvento – ci prepariamo ad accogliere; eppure l’attenzione non è ancora posta precisamente su di Lui: la Chiesa infatti ci invita a concentrarci (e lo farà per due domeniche di seguito) sul Precursore, su Giovanni.
Questo dato è molto interessante: la Chiesa infatti – per parlare della venuta di Gesù – invita sempre a farlo passando da Giovanni Battista.
E questo da sempre, tant’è che tutti e quattro i vangeli attribuiscono grande importanza a questo personaggio e sottolineano come si possa iniziare a parlare di Gesù solo attraverso suo “cugino”…
Diventa indispensabile dunque anche per noi oggi, ripercorrere l’esperienza storica di quest’uomo (storica al 100%, data la puntigliosità di Luca nel collocarla nel quadro dei grandi avvenimenti storico-politici dell’epoca: «Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto»).
Lo facciamo lasciandoci guidare dalle preziose indicazioni contenute nel capitolo 1 del libro Con Marco in cammino verso il Regno del Monastero delle Carmelitane scalze di Legnano.

mercoledì 25 novembre 2015

I Domenica di Avvento


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 33,14-16)
Ecco, verranno giorni - oràcolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (1Ts 3,12-4,2)
Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21,25-28.34-36)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
 
Il vangelo che la Chiesa ci propone in questa I Domenica di Avvento (C) è tratto dal capitolo 21 di Luca, l’evangelista che accompagnerà l’Anno Liturgico che proprio oggi si inaugura.
Commentare questo testo però risulta assai difficile:
1)                 Innanzitutto per la difficoltà legata al linguaggio apocalittico che lo caratterizza;
2)                 Inoltre per il fatto che esso appare del tutto simile al vangelo commentato solo quindici fa, nella 33° Domenica del Tempo Ordinario (B), dove era presentata la versione parallela al nostro brano secondo l’evangelista Marco…
3)                 Infine, perché questo testo fa chiaramente riferimento all’attesa del ritorno del Signore (la II venuta di Gesù), mentre noi lo leggiamo inaugurando l’attesa del Natale, cioè la festa che fa memoria della I venuta di Gesù…
Ma forse queste difficoltà, invece che bloccare ogni parola, possono diventare l’occasione per qualche riflessione…

mercoledì 18 novembre 2015

Cristo re dell'universo


Dal libro del profeta Daniele (Dn 7,13-14)

Guardando nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.

 

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 1,5-8)

Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen! Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 18,33b-37)

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

 

In questa trentaquattresima domenica del tempo ordinario, ultima dell’anno B, la Chiesa celebra la festa di Cristo, re dell’universo. Questo titolo, “re”, pur avendo una storia assai articolata, risulta però essere – associato a quelli di “profeta” e “sacerdote” – un’espressione fondamentale e sintetica dell’interpretazione che la Chiesa ha fatto lungo i secoli della funzione salvifica di Gesù: Cristo è il mediatore della salvezza in quanto profeta, re e sacerdote.

Evidentemente la panoramica dei titoli attribuibili a Gesù è assai più vasta, ma precisamente questi tre, soprattutto a partire dal XVI secolo in poi, sono stati privilegiati come elementi di sintesi della missione/identità di Gesù, tecnicamente, definiti i tria munera, i tre “uffici” di Cristo.

Ma cosa vuol dire che Gesù è re? E soprattutto: In che senso è re?

martedì 10 novembre 2015

XXXIII Domenica del Tempo ordinario


Dal libro del profeta Daniele (Dn 12,1-3)
In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
 
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 10,11-14.18)
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati. Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
 
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 13,24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
 
In questa trentatreesima domenica del tempo ordinario, la Chiesa – attraverso la liturgia della Parola – ci invita a riflettere sul tema delle “cose ultime”, dell’escatologia, di ciò che deve accadere. Tema arduo, tanto che «J. Schmidt – come ricorda don Bruno Maggioni ne Il racconto di Marco –, commentando il c. 13 di Marco scrive: “quello che viene chiamato il discorso della parusia, l’apocalisse sinottica, figura tra i passi più incomprensibili del Nuovo Testamento e, di conseguenza, tra i più contestati di tutta la tradizione sinottica” [J. Schmidt, L’evangelo secondo Marco, Brescia 1956]. J. Schmidt ha ragione – prosegue Maggioni –: non è facile comprendere il genere letterario a cui il discorso appartiene (il genere apocalittico) e non è facile ricostruire le situazioni che sembra supporre. […] Non possiamo [quindi] fare a meno di una premessa teologica e letteraria riguardante l’escatologia e l’apocalittica: il discorso s’inserisce infatti in questo filone teologico e letterario. Il significato più ovvio di “escatologia” è quello di discorso sulle ultime e definitive realtà. Certo si tratta – anche se questa convinzione è maturata lentamente e faticosamente – di realtà che vanno oltre la storia, ma ciò non significa che esse non si preparino dentro la storia. In effetti l’escatologia biblica è un discorso sulla storia, un modo di leggerla e di assumerla».
Questa indicazione è molto interessante, libera infatti il campo da quelle interpretazioni banali e infondate che leggono nei testi biblici di genere apocalittico un tentativo di penetrare i segreti di Dio o di cedere alle curiosità “del quando e del come”. Niente di tutto questo! Anzi, fondamentale per la corretta interpretazione di questi brani, è un’ulteriore annotazione teologico-letteraria: sempre Maggioni infatti ci ricorda che «il linguaggio di questa letteratura è tipico: descrive gli ultimi tempi come tempi di guerre e di divisioni, di terremoti e carestie, di catastrofi cosmiche, e tutto questo nel segno di una grande subitaneità. Questo linguaggio è ampiamente presente nel discorso di Marco: non è il messaggio, ma semplicemente un mezzo espressivo che tenta di comunicarcelo. In nessun modo queste espressioni devono essere intese alla lettera».
Ma, dunque, se sono vere le annotazioni preliminari cha abbiamo fatto (se cioè l’escatologia biblica è un discorso sulla storia, un modo di leggerla e di assumerla e se il linguaggio apocalittico non coincide con il messaggio, tanto che in nessun modo queste espressioni devono essere intese alla lettera), sorge immediata la domanda riguardo a quale sia allora il messaggio sulla storia che – attraverso questo linguaggio sulle cose ultime – Marco sta proponendo…
In questo senso due paiono le certezze che emergono dal testo: innanzitutto il fatto che Gesù prevede tempi difficili e disorientanti per i suoi discepoli; ma, d’altro canto, che essi saranno accompagnati dalla venuta del Figlio dell’uomo.

martedì 3 novembre 2015

XXXII Domenica del Tempo Ordinario


Dal primo libro dei Re (1Re 17,10-16)

In quei giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere». Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”». Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 9,24-28)

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

 

«Gesù sta avvicinandosi alla conclusione (l’esodo) della sua avventura umana, a Gerusalemme e, man mano che espone sempre più chiaramente alle folle il suo “vangelo”,– come abbiamo potuto ascoltare nelle ultime domeniche ‑ il conflitto con gli scribi, i farisei e i capi del popolo si fa più violento, perché questi sono gli unici che ne capiscono bene la drammatica alternativa al loro insegnamento e ancor più al loro comportamento: Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento (Mc 11,18). Gesù ha proposto con disarmata radicalità le esigenze “smisurate” del Regno […]. Poi ha simbolicamente esautorato il tempio, divenuto un fico sterile e una spelonca di ladroni, indicando nel cuore dell’uomo la “casa” dell’incontro col Padre suo. Ha quindi ripreso e completato il comandamento “primo” sottolineandone la connessione essenziale col secondo: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza, e il prossimo tuo come te stesso (12,29s). É una questione di amore! Ma adesso, che il tempo del suo insegnamento è alla fine, davanti all’ostilità omicida della classe dirigente e all’incomprensione tonta dei discepoli, come spiegare cosa vuol dire “amare”?

Una donna, vedova e sola, gli viene in aiuto!» [p. Giuliano Bettati].

 

martedì 27 ottobre 2015

Tutti i santi


Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 7, 2-4 , 9-14)

Vidi poi un altro angelo che saliva dall’oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: «Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi». Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d’Israele: Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello». Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: «Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello.

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (1 Gv 3,1-3)

Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

 

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 5,1-12)

Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

 

Le letture che la Chiesa ci propone in questa trentunesima domenica del tempo ordinario, non sono quelle consuete, riportate cioè dal messale alla voce “XXXI domenica del tempo ordinario”, bensì quelle che fanno riferimento alla festa di tutti i santi. Tale solennità infatti – che quest’anno ricorre proprio di domenica – è una delle poche, ritenute talmente importanti, da sostituire l’abituale liturgia domenicale.

Tale importanza, è presto spiegata, ricordando come questa festa implichi la memoria di tutti i santi che la storia della Chiesa ha prodotto, dunque la convocazione di tutto l’insieme di “uomini perfetti” che 2000 e più anni di vicenda cristiana hanno visto sfilare sul palcoscenico dell’umanità.

Questa ampia schiera di gente riuscita – le cui gesta e irreprensibilità sono ben note a tutti – suscita immediatamente grande reverenza e timoroso rispetto, soprattutto perché richiamano – almeno per come li presentano gli agiografi – toni eroici e note sovra umane (tipo super-man, il super-uomo appunto) per noi assolutamente impensabili e di certo irraggiungibili…

Paradossalmente però, a fronte di questa grande ammirazione, proprio la loro irraggiungibilità, li rende in qualche modo “fuori dalla realtà”, superflui, quasi inutili: se non possiamo far molto altro che venerarli, perché somigliargli è difficile ed eguagliarli impossibile, ad un certo punto non resta che appenderli a qualche muro, metterli su qualche mensola e lasciarli lì a prender polvere…

Rispetto alle nostre storie contorte e travagliate, problematiche e a volte tragiche, faticose e indaffarate, hanno infatti davvero poco da dire…

Inoltre – sempre che questo possa essere detto di un santo, anzi di tutti i santi – hanno il piccolo difetto di non suscitare nemmeno più grandi entusiasmi… Non solo la loro irraggiungibilità ha fatto rinunciare i più a incamminarsi sulla via della loro sequela, ma – tra le nuove generazioni – le loro scelte risultano quasi incomprensibili, le loro storie strane… fanno quasi ridere e di certo non accendono l’ardore di imitarli in nessuno…

Sarà colpa dei santi? Incartapecoriti nel loro perbenismo?

martedì 20 ottobre 2015

XXX Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 31,7-9)

Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla. Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito».

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 5,1-6)

Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek».

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,46-52)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

 

L’episodio del cieco Bartimeo che la Chiesa ci propone nel vangelo di domenica è particolarmente significativo: ad una prima lettura infatti esso potrebbe apparire come uno dei tanti miracoli di Gesù raccontati dai testi evangelici, che per lo più noi abbiamo già sentito, riconosciamo e di cui magari sappiamo anche rinarrare la vicenda, ma che assolutamente non sapremmo collocare né geograficamente, né “cronologicamente”.

In realtà invece è molto importante, soprattutto in questo caso, andare a cercare dove si trova questo passo evangelico e scoprire che l’episodio del cieco Bartimeo è l’ultimo dei miracoli di Gesù che la narrazione del vangelo di Marco riporta ed è collocato immediatamente prima dell’inizio del racconto della passione. Non a caso siamo ormai in terra di Giudea, precisamente sulla strada che da Gerico porta a Gerusalemme (la medesima in cui Luca collocherà la parabola del buon samaritano, Lc 10,29-35).

Gerico… «La più antica città del mondo, così dicono. A 200 metri sotto il livello del mare, vicino al Mar Morto, è un crocevia commerciale di carovane…» [p. Giuliano Bettati].

Qui ci ha condotto «il viaggio, che abbiamo percorso con i discepoli verso Gerusalemme nelle domeniche scorse», un viaggio che «ci ha fatto prendere coscienza delle sconvolgenti proposte del Vangelo nel cuore delle grandi relazioni che costituiscono la nostra umanità: sessualità e fedeltà nell’amore – economia e condivisione dei beni – la politica e la competizione per il potere. Ma nello stesso tempo ci ha reso più consapevoli della nostra radicale incapacità di seguire Gesù (…se andò intristito!)… C’è una specie di fame e di sete di salvezza negli uomini che Gesù incontra: chi domanda come fare nei conflitti affettivi e sessuali, chi vuol essere guidato nella divisione dei beni, chi… vuol essere il primo, a tutti i costi … Ma alla fine tutto finisce in una triste delusione, quando Gesù propone ad ognuno le sue sconvolgenti soluzioni “evangeliche”… […] Ora il viaggio prosegue …

martedì 13 ottobre 2015

XXIX Domenica del Tempo Ordinario: Un Dio con il grembiule


Dal libro del profeta Isaìa (Is 53,10-11)

Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 4,14-16)

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,35-45)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

 

Chissà se Giovanni e Giacomo avrebbero fatto la stessa richiesta a Gesù, se avessero saputo – come ci suggerisce l’evangelista Giovanni – che la gloria del Signore era la sua croce? Avrebbero ancora chiesto di essere alla sua destra e alla sua sinistra, al posto dei ladroni?

La prima parte del brano di vangelo sembra tenere questo doppio senso, non a caso Gesù parla di “calice da bere” e “battesimo in cui essere battezzato”: espressioni che chiaramente fanno riferimento alla fine imminente della sua vita.

La seconda parte del vangelo però, sembra riportare il discorso su altri binari… l’indignazione degli altri discepoli lascia infatti pensare che la richiesta di Giovanni e Giacomo non fosse quella di accompagnare sulla croce Gesù, ma – nell’accezione anche per noi più comune – considerare la “gloria” come quella potente, vittoriosa, intramontabile: insomma, come se avessero chiesto di essere vicepresidenti del paradiso…

E infatti Gesù fa poi riferimento ai governanti delle nazioni, al dominio, all’oppressione…

«Tra voi però non è così»…

martedì 6 ottobre 2015

XXVIII Domenica del tempo ordinario


Dal libro della Sapienza (Sap 7,7-11)

Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure ad una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 4,12-13)

Fratelli, la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e della spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.

 

Dal vangelo secondo Marco (Mc 10,17-30)

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una sola cosa ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

 

La prima lettura di questa ventottesima domenica del tempo ordinario, raccoglie uno stralcio del discorso che il re Salomone avrebbe fatto parlando della sapienza. Al di là della finzione letteraria, ciò che è interessante è la ripetuta sottolineatura di quanto la sapienza sia preferibile ad ogni altra cosa egli potesse richiedere nella preghiera: «La preferii a scettri e troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure ad una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce»; e commenta: «perché lo splendore che viene da lei non tramonta».

Ciò che dunque rende la sapienza così desiderabile è il fatto che essa, a dispetto di tutte le altre cose pure desiderabili (scettri, troni, ricchezza, gemme inestimabili, oro, argento, salute, bellezza, luce…), non tramonti, possegga cioè una dimensione di eternità, di non corruttibilità: è qualcosa che può rimanere.

Il problema di Salomone è dunque il problema di ogni uomo: è il problema della salvezza, del fatto che la vita che spendiamo non sia vana, che qualcosa di essa rimanga, che abbia un senso, che noi rimaniamo. Nonostante oggi suoni anacronistico dire “il problema della salvezza” e nessuno pare preoccuparsene, in realtà se esso viene declinato – per esempio traducendolo in domande quali “Che senso ha la vita se poi si muore?”, “Cosa sono qui a fare?”, “Come è giusto spendere la vita?”, “Per cosa vale la pena farlo?”, “E tutto questo mio correre, affannarmi, preoccuparmi, darmi da fare, ha qualche futuro?”, “Io sono destinato a finire nel niente, e così tutte le persone che amo e tutto ciò che mi circonda?”, ecc… – salta immediatamente all’occhio come questo sia IL problema, il problema di tutti e di ciascuno.

Non a caso il capitolo 7 del libro della Sapienza da cui è tratta la nostra prima lettura iniziava sottolineando la parità di condizione – dal punto di vista del problema esistenziale – tra chi parla (Salomone) e ciascun uomo; i versetti 1-6 infatti suonano così: «Anch’io sono un uomo mortale uguale a tutti, discendente del primo uomo plasmato con la terra. La mia carne fu modellata nel grembo di mia madre, nello spazio di dieci mesi ho preso consistenza nel sangue, dal seme d’un uomo e dal piacere compagno del sonno. Anch’io alla nascita ho respirato l’aria comune e sono caduto sulla terra dove tutti soffrono allo stesso modo; come per tutti, il pianto fu la mia prima voce. Fui allevato in fasce e circondato di cure; nessun re ebbe un inizio di vita diverso. Una sola è l’entrata di tutti nella vita e uguale ne è l’uscita. Per questo pregai». E precisamente a questo punto iniziano i versetti 7-11 che compongono la nostra prima lettura, con la scelta salomonica di chiedere, su tutto, la sapienza.

A ben guardare il problema è il medesimo che assilla anche il “tale” di cui si parla nel vangelo, che proprio per cercare una risposta a questo angosciante mistero, «corse incontro» a Gesù «e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”».

Il problema è lo stesso, è il nostro, è quello di tutti: Cosa dobbiamo fare? Cosa dobbiamo fare per vivere una vita buona? E come facciamo a capire cosa è una vita buona? E poi, “buona” per chi? Verso cosa corriamo? Verso dove andiamo? Verso chi? E perché? Qualcuno lungo la storia ha parlato di premi, di aldilà, di vita dopo la morte… Era vero? E come si fa per guadagnarseli? Quali prove, quali sforzi, quali sacrifici? E se non è vero, cosa sono qui a fare? Ha senso ciò che faccio, se è destinato al niente? E se decido di sfruttare comunque questa cosa – che è la vita – che mi sono ritrovato a vivere, cosa devo fare perché non sia un’occasione sciupata?

Ce n’è per tutti… Perché nessuno è esentato dal problema del finire delle cose… del finire delle persone… del finire di se stesso… è un’evidenza che continuamente ci si ripresenta e ravviva l’angoscia dentro…

domenica 20 settembre 2015

XXVI Domenica del Tempo ordinario


Dal libro dei Numeri (Nm 11,25-29)

In quei giorni, il Signore scese nella nube e parlò a Mosè: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. Ma erano rimasti due uomini nell’accampamento, uno chiamato Eldad e l’altro Medad. E lo spirito si posò su di loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda. Si misero a profetizzare nell’accampamento. Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento». Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscili!». Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».

 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 5,1-6)

Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.

 

Dal vangelo secondo Marco (Mc 9,38-43.45.47-48)

In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nelle Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

 

Il vangelo che la Chiesa ci propone in questa Ventiseiesima Domenica del Tempo Ordinario, si presenta – ad una prima lettura – di non facile comprensione perché sembra racchiudere discorsi di Gesù accostati in un secondo momento e – almeno apparentemente – non troppo lineari tra di loro: vi è una prima parte in cui si parla dell’episodio di un tale che scacciava i demoni nel nome di Gesù, con il disappunto dei discepoli; vi è una seconda parte in cui si parla dell’accoglienza di chi crede in Lui e dello scandalo a cui spesso è sottoposto; vi è, infine, una terza parte il cui tema è legato all’immagine del “tagliare” ciò che, dei discepoli, crea scandalo.

Ulteriore motivo di fatica nella lettura del testo è il facile travisamento in cui alcune espressioni possono essere (e sono state) interpretate, soprattutto per quanto riguarda l’ultimo argomento trattato.

Ci facciamo allora instradare dal commento che Bruno Maggioni fa di questo brano in Il racconto di Marco, Cittadella Editrice, Assisi 199912, 140-142: «Si tratta di insegnamenti disparati tenuti insieme da parole-chiave, che hanno il merito, da una parte, di facilitare la memorizzazione e, dall’altra, di indicarne aspetti salienti. Nel nostro caso le parole-chiave sono due: nel mio nome e scandalo. Sono insegnamenti disparati che però hanno in comune l’uditorio (la comunità) e, più interiormente, devono tutti essere letti alla luce della Passione di Cristo: sono infatti precedute dalla seconda predizione della Passione [cfr. il vangelo di Domenica scorsa]: indicano alcuni contenuti della sequela.

martedì 8 settembre 2015

XXIV Domenica del Tempo ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 50,5-9a)

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?

 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Giac 2,14-18)

A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 8,27-35)

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

 

In questa Ventiquattresima Domenica del Tempo Ordinario la Chiesa ci propone – come brano di vangelo – il testo che sta al centro dello scritto di Marco.

Il vangelo di Marco, infatti, proprio all’inizio (cap. 1, v. 1) diceva: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio». Il che è curioso, se si pensa che i biblisti ci hanno insegnato che questo evangelista scrive per rispondere alla domanda “Chi è Gesù?”. È dunque curioso che inizi così, perché già nella sua prima riga sembra dare la risposta: è il Cristo, il Figlio di Dio.

Ma… Cosa vuol dire essere il Cristo, il Figlio di Dio? Ecco tutto il resto del vangelo: come se Marco dicesse, la riposta te l’ho data, ma adesso devi riempirla di senso.

Non a caso le “parole chiave” Cristo e Figlio di Dio ritornano nei momenti decisivi e vanno così a segnare la struttura del vangelo: Cristo si ripresenta a metà del vangelo (alla fine del primo tempo, per parlare in gergo cinematografico) e Figlio di Dio alla fine del secondo tempo e del film (Mc 15,39 «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»).

Solo allora potremo davvero rispondere sensatamente alla domanda “Chi è Gesù?”.

Il brano di oggi corrisponde a quello in cui è contenuta la prima parola chiave: Mc 8,29 «Tu sei il Cristo».

Ci troviamo dunque esattamente al centro del vangelo di Marco, dove ricorre il famoso testo della confessione di fede di Pietro, con tutto quanto segue: il primo annuncio di Gesù della sua passione, il rimprovero di Pietro, il noto “Vade retro Satana” e le parole di Gesù sul discepolato: «Se qualcuno vuol venire dietro a me…».

Questo testo è importantissimo per la fede cristiana perché in esso è strutturato l’itinerario della fede:

-       il primo passo è rispondere alla domanda – rivolta dal Signore a ciascuno di noi “Chi dite che io sia?”;

-       il secondo, è decidere di seguire il Signore («Se qualcuno vuol venire dietro a me»);

-       il terzo, è rinnegare se stessi;

-       e l’ultimo è prendere la propria croce.

Si tratta di un itinerario che in qualche modo scandisce il progredire della vita cristiana, ma che, contemporaneamente, è sempre inesauribile… Ci si ritrova – nelle varie fasi della vita – a ripercorrerlo sempre daccapo, quasi come una spirale che ritorna sempre sulle stesse questioni, ma ogni volta a profondità diverse.

Ma… andando un po’ più a fondo: Cosa vogliono dire queste espressioni? Proviamo a guardarle più da vicino…

venerdì 4 settembre 2015

XXIII Domenica del Tempo ordinario


Dal libro del profeta Isaia (Is 35,4-7a)

Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d'acqua.

 

Dalla lettera di Giacomo (Gc 2,1-5)

Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?

 

Dal Vangelo di Marco (Mc 7,31-37)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

 

Dopo il duro scontro, che il vangelo di domenica scorsa presentava, tra Gesù e i farisei, il testo riporta l’annotazione per cui Gesù, «partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse» (Mc 7,24).

Gesù cioè, di fronte all’ennesima controversia con i suoi oppositori e di fronte all’ennesima conferma della durezza e ipocrisia dei loro cuori, sembra volersi ritirare in luoghi stranieri per starsene un po’ solo. Non vuole infatti che nessuno sappia della sua presenza.

Ma – come gli era già successo in occasione della moltiplicazione dei pani (cfr Mc 6,30-34), quando, volendosi ritirare in disparte coi suoi discepoli, era invece stato seguito da una grande folla – anche qui il suo intento sfuma: una donna siro-fenicia prima (Mc 7,25-30) e un sordomuto poi (Mc 7,31-37, che è il brano odierno) gli si pongono sul cammino e lo sollecitano a uscire dal nascondimento in cui Egli invece avrebbe preferito, per un poco, restare.

Anche in questa occasione, come con la folla a cui poi aveva moltiplicato il pane, Gesù non reagisce malamente, non rifiuta l’incontro per seguire il suo (giusto) desiderio di starsene un po’ in disparte, non riesce a «stare nascosto» (Mc 7,24); anzi, proprio come allora, quando si era intenerito perché tutta quella gente gli era apparsa come pecore senza pastore, anche qui in Gesù ciò che viene immediatamente a coscienza è la com-passione, è il lasciarsi interpellare dall’altro che gli si fa incontro, è il lasciarsi coinvolgere nella sua storia e nella drammatica della sua vita.

Nonostante dunque il bisogno di stare in disparte, ingeneratosi in lui dalla discussione coi farisei, nonostante il suo desiderio di essere lasciato in pace, Gesù di fronte alla donna pagana con la figlia malata e al sordomuto che gli portano – di fronte cioè ai piccoli dell’umanità – non riesce a non farsi intenerire e entrambe le volte fa ciò che gli chiedono.

In questa rapida analisi di come ha “funzionato” in quelle occasioni la libertà di Gesù, emerge un tratto dell’interiorità di Dio davvero inedito, perché – per noi cristiani – chi vede Gesù, vede come è fatto Dio!

lunedì 24 agosto 2015

XXII Domenica del Tempo ordinario


Dal libro del Deuteronomio (Dt 4,1-2.6-8)

Mosè parlò al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”. Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi dò?».

 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 1,17-18.21-22.27)

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature. Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi. Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,1-8.14-15.21-23)

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

 

Dopo la lunga “pausa” estiva, caratterizzata dalla lettura del capitolo 6 di Giovanni, la liturgia riparte con la lettura corsiva del vangelo di Marco. Siamo al capitolo 7, quello che segue la moltiplicazione dei pani nella versione di questo evangelista e le guarigioni di Gesù nella regione di Genezaret. Quel brano si concludeva con un’atmosfera assai positiva: «Là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati», Mc 6,56, che è il versetto immediatamente precedente all’incipit del brano odierno. Quest’ultimo si apre invece bruscamente su una scena di controversia con i farisei e gli scribi, che richiama da vicino l’atmosfera dura che aveva tratteggiato il vangelo di Giovanni di domenica scorsa.

L’occasione della discussione in questo caso è la critica che viene mossa a Gesù perché i suoi discepoli «non si comportano secondo la tradizione degli antichi», nella fattispecie «prendono cibo con mani impure, cioè non lavate», come spiega il testo stesso.

Gesù viene cioè accusato dagli uomini religiosi del suo tempo di essere un trasgressore della tradizione, di non essere cioè un tradizionalista. Come abbiamo poi rivissuto anche in epoca cristiana, quest’accusa non è solo la bonaria critica dell’uomo religioso meticoloso rivolta a quello che vive un po’ meno scrupolosamente le pratiche religiose, ma è un’accusa più grave; è come se si dicesse: dato che non sei un osservatore minuzioso delle pratiche religiose, non sei un buon ebreo, non sei un buon cristiano. Con il tuo comportamento “dissacrante” dimostri di non essere un vero fedele del Dio di Israele o del Padre. In qualche modo sei un eretico.

Questa è l’accusa di tutti i tradizionalisti di tutte le religioni nei confronti degli altri (chiamati, lungo la storia, in vari modi: progressisti, innovatori, riformatori, ecc…).

È l’accusa che si è preso anche Gesù ed è l’accusa che lo porterà in croce: e questo ci fa capire quanto il nocciolo duro del vangelo, quello su cui si giocano i più grossi conflitti, fino allo scontro finale della croce, è religioso. Il vangelo di Gesù ha di mira la messa in discussione della religiosità dell’uomo (tutto il resto arriva dopo): cioè il problema di Gesù, quello che vuole ficcarci nella testa, non è un programma politico, un programma economico, un iter morale, delle norme sessuali, ecc… ma è il volto di Dio, chi è davvero Dio.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

I più letti in assoluto

Relax con Bubble Shooter

Altri? qui

Countries

Flag Counter