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martedì 29 aprile 2014

III Domenica di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli (At 2,14.22-33)

[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così: «Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene –, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo: “Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza”. Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione. Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».

 

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo (1Pt 1,17-21)

Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

 

In questa terza domenica di Pasqua, la Chiesa, nella liturgia, ci presenta un altro episodio di incontro col Risorto, un episodio molto articolato, sia dal punto di vista narrativo che da quello emotivo.

La Chiesa infatti – in questo tempo pasquale – ripropone con insistenza il necessario “bagnomaria” nel mistero della Risurrezione di Gesù… Tale insistenza non deve stupirci, perché quest’evento, che è il centro sorgivo di tutto il fermento cristiano, si presenta tanto inaudito e smisurato, da risultare inesauribile nella sua com-prensione.

Infatti, per come ne parlano i testi neotestamentari e per come è stata vissuta dalla comunità credente, la Risurrezione di Cristo è un evento che ha in sé un tale novum da risultare scardinante le stesse fondamenta della vita umana, per cui i consueti schemi interpretativi della realtà (anche quelli religiosi) risultano inadeguati.

E di fatti, per esempio, non si può parlare per Gesù di una semplice ri-vitalizzazione del suo corpo. La sua non è l’esperienza di Lazzaro, che richiamato in vita, dovrà poi però di nuovo incontrarsi con la morte.

Un modo chiaro per spiegare questa differenza è il cosiddetto “schema delle stanze”. Esso mostra come l’uomo abbia sempre conosciuto solo due “stanze”, due mondi, quello dei vivi e quello dei morti, senza ulteriori possibilità: chi vive è destinato a finire nella tomba e a restarci. La soglia tra la prima stanza (la vita) e la seconda (la tomba) è naturalmente la morte fisica. Lazzaro in questa prospettiva, morendo, passerebbe dalla prima stanza alla seconda, ma poi, attraverso la nuova chiamata alla vita da parte di Gesù («Lazzaro, vieni fuori!», Gv 11,43), farebbe il percorso inverso: dalla seconda “stanza” (regno dei morti) alla prima (mondo della vita).

Non altrettanto si può dire invece per Gesù: Egli non torna indietro nella prima “stanza”, ma per Lui è come se si spalancasse una terza e nuova “stanza”, inaudita per l’uomo: il mondo di Dio. Egli, morendo, passa dalla prima alla seconda “stanza”, ma, risorgendo, fa un ulteriore avanzamento! Passa infatti dalle braccia della morte a quelle della nuova Vita, la vita di Dio, attraverso la nuova soglia della Risurrezione.

Ed è questa novità inaudita, questo accesso mai percorso prima, questa possibilità solo da lui abilitata ad essere vissuta, ciò che rende così sproporzionato l’evento di Risurrezione rispetto all’abituale comprensione che l’uomo ha delle dinamiche del vivere e del morire.

È quello che i Vangeli a modo loro cercano di mostrare nella forma del racconto. Essi infatti parlando di Gesù risorto, sebbene ne mettano in luce per un verso una continuità con il Gesù in carne ed ossa che percorreva le strade della Palestina prima di finire appeso ad una croce (il crocifisso è il risorto), ne mostrano però allo stesso tempo anche una diversità sorprendente.

Per esempio si parla di Gesù che «Venne a porte chiuse» dai suoi discepoli (Gv 20,26), ma che allo stesso tempo mangiò con loro (Gv 21). Soprattutto si parla di quello strano fenomeno che si ripeté diverse volte e che fu il mancato riconoscimento di Gesù stesso. Maria di Magdala, vedendolo, lo scambiò per il custode del giardino («Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”», Gv 20,15); i discepoli non si accorsero che chi gli si faceva vicino sulle rive del Lago di Tiberiade era proprio Lui («Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù», Gv 21,4); e infine, in modo ancora più clamoroso, perché prolungato, i discepoli di Emmaus non si accorsero che era Lui che camminava con loro («Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo», Lc 24,15-16).

Ed ecco che alla luce di questo problema, sentito davvero come significativo dalla prima comunità cristiana – Come riconoscere il Cristo risorto? Come incontrarlo? Come vivere una compagnia (per la vita) con lui? – si fanno strada le prime risposte; si vogliono cioè indicare quali siano per i discepoli di qualsiasi epoca, le vie di accesso per il riconoscimento, e dunque l’incontro (e dunque la compagnia) col Signore risorto.

È questa la portata strepitosa dei vangeli di risurrezione, che a noi magari risultano un po’ ripetitivi, perché in essi siamo abituati solo a sentir riecheggiare l’annuncio della risurrezione di Gesù, che – pensiamo – sentita una volta, sentita per sempre… In realtà nella configurazione che gli evangelisti danno a questi racconti, vi è in gioco qualcosa di più: non solo arrivare al dato finale “Gesù è risorto”, ma mostrare quale sia stato, per i discepoli della prima ora, il percorso che li ha portati a questa presa di coscienza (non è bastato infatti che Egli gli apparisse, infatti nessuno lo riconobbe, nemmeno i nostri due di Emmaus!). E il fatto che i primi cristiani, nel momento in cui consegnano alla storia la testimonianza della risurrezione di Gesù, decidano di consegnare insieme anche la chiave di accesso che ha permesso loro l’incontro con Lui, significa che ritenevano quel percorso essenziale anche per i discepoli della seconda e terza e millesima generazione… Cioè è come se avessero sentito l’esigenza non solo di consegnare l’annuncio dell’incontro col Risorto, ma anche il comeciascuno – a qualsiasi epoca appartenga – possa ripercorrere quella strada per arrivare di persona a quel medesimo incontro.

E la portata del problema non deve sfuggire, soprattutto a noi, discepoli di 2000 anni dopo: Com’è possibile per me oggi incontrare il Signore in persona? È possibile, visto che io non c’ero allora? È possibile per me che non l’ho mai visto in carne ed ossa né in un’apparizione? Oppure, dopo la sua risurrezione, è possibile solo un ricordo di Lui?

No, rispondono i Vangeli: non è possibile solo un ricordo di ciò che è stato, ma si danno alcune vie reali e attuali di accesso al Signore. E il Vangelo di Luca nel capitolo 24 (quello appunto che racconta dei discepoli di Emmaus) è stato scritto proprio per indicarle:

1-      Le Scritture: «“Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui».

2-      L’accoglienza dell’altro, l’ospitalità dello straniero (tale infatti consideravano Gesù, data la sua ignoranza sui recenti fatti accaduti a Gerusalemme: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?»): «egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”».

3-      Lo spezzare del pane, il gesto anticipatore del senso della sua morte per noi: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro».

 

«Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero»!

  

 

PER RIDERE…

…c’è poi una IV via… rintracciabile nei versetti che dicono: «Alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto. Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!”», dove sembra che Gesù metta in parallelo “donne/profeti”: i discepoli non hanno ascoltato l’annuncio delle donne e Gesù li “sgrida” dicendo che non hanno ascoltato i profeti!

La IV via di accesso a Gesù risorto è allora… dare un po’ più retta alle donne!!! :o)

martedì 22 aprile 2014

II Domenica di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli(At 2,42-47)

[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

 

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo (1Pt 1,3-9)

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni(Gv 20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Dopo le celebrazioni del Triduo pasquale, culminate nella veglia di Sabato e nella messa solenne di Domenica, e dopo gli otto giorni in cui la Chiesa ha “dilatato” – come fosse un unico lungo giorno – la celebrazione della Risurrezione del Signore, Domenica veniamo introdotti “a tutti gli effetti” nel cosiddetto “Tempo di Pasqua”, un tempo forte in cui l’invito è quello di andare a ripercorrere e assimilare – pian piano – il mistero esplosivo condensatosi la Domenica di Pasqua.

Non a caso il vangelo che ci viene proposto riguarda l’apparizione di Gesù risorto ai suoi, avvenuta proprio «la sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei».

La Chiesa ci invita cioè a leggere un testo evangelico che, nel suo svolgersi, ci sposta dalla domenica della Risurrezione… e ci colloca otto giorni più in là (gli stessi che – non a caso – son passati per noi dalla celebrazione della Pasqua).

Se infatti il testo inizia con una prima apparizione ai discepoli la sera stessa della Risurrezione, esso poi però prosegue con una seconda apparizione «otto giorni dopo», dove l’annotazione temporale, accompagnata dall’assenza (prima) di Tommaso e dalla sua successiva presenza, apre la strada al problema dell’accesso alla fede per chi non era lì in quei giorni. Dunque per tutti gli assenti, per tutti quelli della generazione successiva (per i quali, infatti, sta scrivendo Giovanni) e per quelli di tutte le generazioni successive…

Il problema è messo bene in luce dall’affermazione che Gesù rivolge a Tommaso – «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!», dove l’indisponibilità di Tommaso a credere nonostante l’assenza, diventa il comportamento da biasimare, mentre quello di chi non pone come condizione per la fede l’annullamento di una distanza fisica, diventa quello da lodare –, ma anche dal finale del testo: «Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome», dove è evidente la convinzione dell’evangelista che per accedere alla fede in Gesù non sia necessaria la contiguità cronologica alla vita storica di Gesù.

Questo era (è) infatti il problema… Lo stesso messo in luce dalla seconda lettura: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui».

Il problema è cioè quello della fede di chi non ha conosciuto di persona Gesù – di chi non ha potuto mettere le sue mani sulle sue piaghe – che – altrimenti detto – equivale a quest’altro problema (quello vero, che sta sotto l’altro e in esso si nasconde): il problema di doversi fidare di qualcun altro nella propria fede… “avere fede sulla fede di un altro”.

Questa è la prima difficoltà dei discepoli della seconda generazione (quelli per cui scriveva Giovanni), ma poi anche della terza, della quarta… fino a noi. È il problema dell’affidabilità e dell’affidamento… Questioni delicate per l’uomo di sempre, tanto più – io credo – per l’uomo di oggi, che sempre più sembra gettato in un mondo di estraneità, competizione, paura dell’altro; tant’è che la domanda ricorrente è “Come si fa a fidarsi (di uno così, di una così, di chi ti fa un lavoro in casa, del tuo padrone, del tuo operaio, del tuo vicino, del tuo stesso amico…)? Come si fa a fidarsi?”.

Figurarsi fidarsi di questa manciata di uomini spauriti, vissuti più di 2000 anni fa, che parlavano una lingua stranissima, vivevano in terre lontane e avevano una cultura così diversa dalla nostra… Cosicché su queste considerazioni, oggi, i più se ne vanno scettici (soprattutto i nostri ragazzi, la prima generazione atea, come li chiamano i giornali), altri cercano di non pensarci, portando avanti il loro tran tran quotidiano (spesso scisso tra tempo profano e piccolissime parentesi di tempo sacro), altri si lanciano in una fede cieca, pochi provano a pensarci…

Io mi/vi chiedo se tutta questa sfiducia non derivi forse da due fonti:

-          innanzitutto la mancanza di valutazione sull’affidabilità/attendibilità della fede degli altri, di quelli su cui noi ci appoggiamo per credere… cioè, io credo che un primo problema sia la scarsa conoscenza e la poca passione per la Parola di Dio… In questo non si possono dimenticare le colpe storiche dell’istituzione chiesa, ma è anche vero che oggi per tutti c’è la possibilità di un accesso alla lettura, allo studio, all’incontro con il testo biblico… che però spesso ci trova restii, latitanti, stanchi…

Cosicché ci ritroviamo incapaci di rendere ragione della fede che è in noi (1Pt 3,15), soprattutto a noi stessi…

-          inoltre mi/vi chiedo se non è il caso di provare a pensare in maniera un po’ seria alla continua e soffocate aria di sfiducianegli altri in cui culturalmente siamo così immersi. Anch’essa ha tante radici, che non possiamo certo ora ripercorrere, ma che – se lasciate nell’ombra – rischiano di agire in noi senza che nemmeno ce ne accorgiamo, rendendoci passivi recettori, ma anche inconsapevoli complici, di quell’atmosfera per cui nel nostro mondo sembra impossibile fidarsi di qualcuno, affidare la nostra vita ad un A/altro, legare incondizionatamente il nostro destino a quello degli altri uomini…

Io credo che su queste due polarità si stia giocando il fallimento dell’annuncio della Risurrezione del Signore, che infatti – per troppe persone – non è più significativo e capace di trasformare la vita. E su questo, la distanza delle nostre esperienze ecclesiali da quella della prima comunità cristiana (descritta dalla prima lettura) è un segnale chiaro!

Ripartire da quel “Pace a voi” e da quel “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati” potrebbe forse aiutarci a riqualificare le nostre relazioni umane, facendoci noi per primi – per quel poco che è possibile – garanti di un’affidabilità nell’amore, affinché nelle nostre case, nelle nostre comunità, nella nostra storia e nella nostra carne le persone trovino pace e perdono: quelli veri che ricompongono le viscere, che riabilitano a porre passi umanizzanti, che fanno rispuntare sorrisi e luccicare gli occhi.

O se proprio è difficile pensarci come garanti di questo legare il nostro destino a quello degli altri uomini in una storia di pacificazione e perdono, almeno possiamo provare a desiderare di esserlo o desiderare di desiderare di esserlo.

martedì 15 aprile 2014

Pasqua 2014: per una Giustizia Nuova!


Domenica di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli (At 10,34.37-43)

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési (Col 3,1-4)

Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

 

Il Passio secondo Matteo, letto settimana scorsa durante la Domenica delle Palme, si concludeva con la sepoltura di Gesù.

Anche l’evangelista Giovanni racconta questo triste rito. E lo fa proprio nei versetti che precedono immediatamente il testo del vangelo di questa Domenica di Pasqua: «presero allora il suo corpo, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino» (Gv 19,40-42).

 

La sensazione pare essere quella per cui l’avventura di Gesù si è chiusa definitivamente... con un fallimento: Gesù, nonostante le sue pretese di essere il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, è morto e il suo corpo è chiuso in una tomba.

 

Eppure... c’è chi non rinuncia ad una vicinanza... almeno a quel corpo morto...

Maria di Magdala, una delle “donne di Gesù”, una di quelle che gli erano più intime, si reca al sepolcro dal suo maestro, (che per lei è anche amico, fratello, padre, figlio, compagno...); e ci va subito, appena può (cioè appena termina il sabato), «quando era ancora buio».

Non poteva non andare… Le donne sono infatti congegniate per prendersi cura, nella vita, del corpo degli uomini: da quando nascono raggrinziti e raggomitolati a quando crescono e gli si insegna ad allacciarsi le scarpe; da quando si innamorano e ti chiedono come vestirsi a quando si ammalano e ti si consegnano tra le mani; da quando invecchiano e cercano braccia che li accolgano... fino a che muoiono... e il loro corpo rimane l’ultimo segno, ormai inanimato, della vita che ci ha legati...

E Maria proprio questo vuole fare... restare attaccata a quell’uomo tanto amato almeno con i segni della cura del suo corpo martoriato...

Ma «vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro»... e presa dall’ansia «Corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava».

Corre dai “suoi”, da quelli che con lei si erano trovati a vivere la coinvolgente storia della sequela di Gesù...

Corre da loro con sentimenti di smarrimento e angoscia: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Il suo terrore è che il corpo di Gesù sia stato trafugato e che a lei non rimanga più nemmeno quell’ultimo pezzettino della sua pelle da onorare, per sentirlo ancora un po’ vicino...

Il suo è uno sgomento contagiante, tant’è che Pietro e il discepolo amato si mettono a loro volta a correre, nella direzione opposta, per andare anche loro a vedere... se davvero non c’era più niente da vedere...

E in effetti: entrati nel sepolcro osservarono «i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte»... ma non capirono: «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti».

I segni, che poi diventeranno quelli classici della Risurrezione (il sepolcro vuoto, le bende, il sudario...) ora sono muti, non dicono niente; confermano solo l’angoscioso annuncio di Maria: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».

 

È su questa incomprensione che si chiude il Vangelo di questa domenica di Pasqua... Gesù è risorto, eppure, anche i suoi, non riescono a capire... C’è come un fermo immagine, una sospensione... che verrà rotta solo al momento dell’incontro col Risorto in persona: prima con Maria («Maria!»), poi con gli Undici («Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi»)...

Solo allora, pian piano, insieme, prenderanno coscienza del mistero che hanno vissuto, della potenza della Vita che ha vinto la morte, del fatto che essa non ha smentito Gesù, come anche a loro era sembrato.

Ma per ora no, non capiscono: la storia viene come “messa in pausa” dalla liturgia su questa realtà ancora incompresa della Risurrezione: in attesa che l’incontro personale ne dischiuda il senso (per Maria, gli apostoli e ciascuno di noi).

martedì 8 aprile 2014

Domenica delle Palme


Ho cercato di raccogliere i personaggi della trama della passione e morte di Gesù.

Ve ne sono diversi collettivi (i capi dei sacerdoti, i discepoli, la folla con spade e bastoni, gli scribi e gli anziani, i falsi testimoni, i presenti nel cortile del sommo sacerdote, i soldati romani, quelli che passavano nei pressi della croce, molte donne, i farisei, le guardie dei capi religiosi), alcuni dei quali ritornano in più circostanze, ma tra di essi emergono anche alcuni singoli.

Alcuni di questi hanno una sorta di funzione rappresentativa del gruppo cui appartengono o comunque sono personaggi singoli – che dicono o fanno qualcosa in prima persona – ma funzionali alla narrazione (Pietro + i due figli di Zebedeo al Getsèmani, il discepolo che era con Gesù e impugna la spada, il servo del sommo sacerdote cui viene staccato l’orecchio, Caifa, i 2 falsi testimoni che riportano le parole di Gesù, le due serve nel cortile del Sommo sacerdote, il soldato che dà la canna con l’aceto + quelli che dicevano “Vediamo se viene Elia”, le donne presenti tra le molte: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo).

Vi sono poi i personaggi realmente tali, quelli che non sono solo funzionali alla vicenda, ma vi prendono parte in prima persona, in modo tale che non solo la loro storia intervenga su quella di Gesù, ma anche viceversa.

Ne risulterebbe una sorta di schema di questo tipo (fatto artigianalmente e perciò del tutto opinabile):

Giuda Iscariota

Capi dei sacerdoti

I discepoli

Il tale cui Gesù manda a dire: “Farò la Pasqua da te con i miei discepoli”

Pietro

Pietro + i due figli di Zebedeo

Giuda

Folla con spade e bastoni

Quello che era con Gesù e impugna la spada

Il servo del sommo sacerdote cui viene staccato l’orecchio

Caifa + scribi e anziani

Falsi testimoni

I 2 falsi testimoni che riportano le parole di Gesù

Pietro + giovane serva + un’altra serva + i presenti

Giuda

Pilato

Capi dei sacerdoti e gli anziani+ folla

Barabba

Soldati

Simone di Cirene

Quelli che passavano di lì

I capi dei sacerdoti + scribi + gli anziani

Quello della canna di aceto + gli altri che dicevano “Vediamo se viene Elia”

Il centurione

Molte donne, tra queste: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo

Giuseppe d’Arimatea

Pilato

I capi dei sacerdoti + i farisei

Guardie

 

Per ognuno di quelli in neretto ci vorrebbe un trattato…

Sui personaggi “positivi” (penso in particolare al centurione e a Simone di Cirene) è peraltro già stato detto molto e sostanzialmente “non fanno problema”. Ma forse proprio questo “non far problema” dovrebbe darci da pensare… non è che ci scivolano via troppo rapidamente?

Su quelli “negativi” (penso a Giuda e Barabba) le cose dette sono invece più contrastanti (basti paragonare Nostro fratello Giuda, di Primo Mazzolari con l’idea comunemente diffusa che Giuda sia all’inferno, qualsiasi cosa questo voglia dire; oppure il fatto che questo delinquente si chiami proprio Bar-Abba = Figlio del Padre…). Necessiterebbero allora di un approfondimento superserio.

Su quelli “ambigui” – nel senso che evolvono lungo la storia o che sono probabilmente inficiati da una lettura a posteriori (penso a Pilato e Pietro) – bisogna fare ogni volta la fatica di andare a ripercorrere questa evoluzione.

Infine ci sono i “meno considerati” (Il tale cui Gesù manda a dire: “Farò la Pasqua da te con i miei discepoli” e Giuseppe d’Arimatea) che meriterebbero invece di diventare oggetto della nostra attenzione.

Insomma – ognuno per il suo verso – sono questi i compagni di viaggio su cui concentrarsi in questi ormai pochi, ma intensissimi giorni che ci mancano a Pasqua.

Sarebbe bello scegliersene almeno uno e starci un po’ in compagnia.

Il “mio” quest’anno è Giuseppe d’Arimatea, di cui mi colpisce questo uscire dal nulla per ritornarvi (niente è raccontato di lui prima di questo episodio, niente è raccontato dopo). In questa “emersione” però c’è tutto il coraggio (quello dato dal bene che si prova per qualcuno e dal dolore della morte, che azzera ogni argine fittizio) e la presa in carico (fisica – togliere il corpo dalla croce, vuol dire portarne il peso – e vitale) del corpo morto del proprio maestro e amico (segreto, fino a un attimo prima).

Questa cura di un corpo morto (che tornerà anche nell’episodio delle donne che vanno al sepolcro per ungerlo) può apparire macabra o raggelante per chi se lo immagina così, come se il corpo in questione fosse il cadavere di chicchessia, ma per chi ha provato a sentire sotto le proprie dita la carne fredda di chi ha amato (fosse un padre, un marito, un figlio, un amico, un fratello…) credo possa percepire che portata abbia il gesto di Giuseppe.

Un uomo che porta il medesimo nome di quell’altro Giuseppe che aveva fatto da padre a un figlio non suo e che proprio come questo, d’Arimatea, era comparso e sparito dal e nel nulla.

In più, non si può non considerare il contesto in cui il Giuseppe del Passio opera: rischiando la sua stessa vita, venendo allo scoperto quando tutti si nascondono… come accennavo è il segno dell’amore disperato che fa perdere i confini normali che la convivenza civile abituale ci porta a mettere: gli argini del buon senso, del buon costume, della convenienza, dell’opportunità o meno del nostro mostrarci…

Argini che crollano e si frantumano quando la realtà dura ma vera della vita ci si presenta in tutta la sua radicalità, come oggi… quando la liturgia ci invita a non correre troppo avanti nella lettura (pensando “tanto poi è risorto”), per farci stare come bloccati con quel corpo morto tra le braccia, simbolo di una fine assoluta, che non ha alcun “però” da obiettare… è morto, però… No. È morto, punto.

martedì 1 aprile 2014

V Domenica di Quaresima


Dal libro del profeta Ezechièle (Ez 37,12-14)

Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,8-11)

Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 11,1-45)

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Anche questa quinta domenica di Quaresima ci propone un brano di vangelo assai lungo e assai impegnativo: la risurrezione di Lazzaro. Anche questa domenica allora, preferisco non dilungarmi troppo e lasciare che a parlare sia la Parola. Accenno solo all’elemento che mi ha colpito di più… Il testo racconta di tutta la vicenda che riguarda la morte di un amico di Gesù, Lazzaro… una vicenda che – attraverso la notizia che raggiunge Gesù, il suo cammino per raggiungere Betania, i suoi dialoghi con i discepoli e con le sorelle Marta e Maria – arriva fino al miracolo della risurrezione…

Di fronte ad un episodio del genere, mi è venuto da pensare: “Io avrei subito fatto un’intervista a Lazzaro!”. Avrei voluto infatti sapere da lui cosa ha voluto dire morire e restare morto… Cosa ha sentito, cosa ha provato, cosa ha visto… sempre ammesso che qualcosa abbia sentito, provato e visto… E invece nel testo Lazzaro non dice niente! Niente! Né qui, né più avanti, quando Gesù tornerà in questa casa poco prima della sua morte.

A nessuno viene in mente di chiedergli niente! Com’è possibile??!!?? Passiamo tutta la vita preoccupati (angosciati?) dalla prospettiva che prima o poi tutti (tutti!) muoiono (anche i nostri cari, anche noi)… e quando c’è lì uno che è tornato indietro dal regno dei morti, non gli chiedono niente… Strano! Troppo strano! Ci deve essere una spiegazione…

E io credo sia questa: ancora una volta, al centro della scena c’è Gesù, non Lazzaro; c’è la sua Verità, non le nostre paure.

Come scrive un biblista – infatti – in questo testo «Alla base vi è senza dubbio un’antica tradizione su un miracolo di risurrezione compiuto da Gesù, nettamente riconoscibile anche entro gli sviluppi teologici del racconto giovanneo. Nel quale tuttavia alcuni particolari svolgono un’importante funzione interpretativa del “segno” operato da Gesù. […] Come sempre, Giovanni è fedele alla concretezza dei ricordi, anche se la sua massima aspirazione è quella di interpretarli per un’efficace educazione alla fede dei suoi lettori» [M. Làconi, il racconto di Giovanni, Cittadella Editrice, Assisi 1989, 219]. In gioco, allora, vi è nuovamente l’identità di Gesù. Esattamente come nel brano del cieco nato, che non a caso, fa da pendant con questo («Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato» / «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio»); anche qui infatti troviamo una confessione di fede su Gesù da parte, stavolta di Marta, accompagnato ad un dire qualcosa di sé da parte di Gesù stesso: «Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”».

«L’atto di fede di Marta riprende tutti quelli che l’hanno preceduto: quello di Natanaele (1,49: “il Figlio di Dio, il Re d’Israele”), dei samaritani (4,29.41: “Il Messia… il Salvatore del mondo”), di Pietro (6,69: “Il Santo di Dio”), del cieco guarito (9,35-38: “Il Figlio dell’uomo”)» [Ivi, 228] e ci riporta al centro del testo: chi è Gesù? È colui che vince la morte!

Questo è quello che deve catturare la nostra attenzione. Questo è quello che cattura l’attenzione degli astanti. Questo è quello che Giovanni vuole sottolineare nel suo vangelo. Noi invece ce ne dimentichiamo perché lo diamo per scontato… talmente scontato che – se fossimo stati giornalisti – avremmo intervistato Lazzaro e non Gesù… talmente scontato che quasi non gli diamo più peso… forse anche perché il «… se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» di Marta e Maria «vale per tutti i morti, tanto più per quelli che non hanno neanche uno che li piange e che prega per loro! È un lamento che si può rivolgere solo a Dio. È il lamento che fonda ogni religione e la rende indistruttibile, come la morte che lo genera. Tiene viva la religione, ma ne è anche è la spina mortale, che la rende debole, sostanzialmente inaffidabile, perché non è nei poteri di Dio di impedire che gli uomini muoiano... E infatti continuano a morire, nonostante questa implorazione salga a Dio milioni di volte al giorno. E gli uomini ne concludono sempre più che… Dio è inaffidabile! Ancora una volta però il volto di Dio rivelato da Gesù (il volto di suo Padre, che solo lui conosce… e quelli a cui vuole rivelarlo!) non assomiglia per niente al volto del Dio che ci hanno trasmesso e pure rimane così difficilmente sradicabile dal nostro cuore» [Giuliano]. Infatti… In che modo Gesù è tutto questo?

«Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro», «Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosseprofondamente e, molto turbato, domandò: “Dove lo avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”. Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: “Guarda come lo amava!”. Ma alcuni di loro dissero: “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?”. Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra».

«È buona cosa tener ben ferme queste tre coordinate dell’animo di Gesù: pianto, fremito interiore, turbamento… Non si tratta solo di arricchire la conoscenza profonda del Gesù storico, ma soprattutto di prendere contatto con quella veemenza vitale che si agita in Lui, da cui scaturirà irresistibile il prodigio» [M. Làconi, il racconto di Giovanni, Cittadella Editrice, Assisi 1989, 234]. È cioè perché ha questa empatia fortissima col dolore dell’uomo… (e delle donne, in particolare con Maria… la sua Maria – come si vedrà in Gv 12 e in Gv 20: Mentre infatti «Marta proclama di credere in Gesù Signore della vita (v. 22); Maria col suo atteggiamento prepara il gesto sovrumano di Gesù: col suo pianto provoca il pianto di Gesù (vv. 33-34), con le sue parole di amorevole protesta (v. 32: le stesse della sorella! [«Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!»]) pone la premessa per il miracolo di risurrezione» » [M. Làconi, il racconto di Giovanni, Cittadella Editrice, Assisi 1989, 230])… è cioè perché ha questa empatia fortissima col dolore dell’uomo che Gesù può dargli la vita (in entrambi i sensi che può avere quest’espressione: non a caso siamo nell’anticamera del racconto della Passione!).

Ecco perché il volto di Dio rivelato da Gesù non è più quello inaffidabile della religione, ma quello affidabile della fede: «Gesù si oppone ad una specie di rassegnazione omertosa alle situazioni di malattia, di oppressione e schiavitù sociali o religiose o economiche… Non accetta l’acquiescenza all’insensatezza della morte, che anestetizza l’istintiva protesta elaborando il lutto attraverso razionalizzazioni e riti, ma che di fatto corrode la fiducia nella vita sbarrando all’amore il suo futuro. L’amore che cerca una strada per salvare a tutti i costi la vita non deve essere deviato nel mondo irreale dei sogni e delle ombre. […] La compagnia, la solidarietà, la compassione d’amore e d’amicizia sono il dono più grande che ci è fatto sulla terra, la spiaggia estrema della speranza. Perché hanno dentro appunto la pretesa mite e struggente della continuità (che i filosofi chiamano immortalità), altrettanto inestirpabile dentro di noi quanto la certezza della morte» [Giuliano]. Per questo, muore, amando i suoi fino alla fine! Non tradendo mai cioè la fede in quella continuità per cui l’amore è più forte della morte! E per questo Dio lo risusciterà… Perché in quell’amore lì, si riconoscerà in maniera definitiva. Ma che in quell’amore lì, Dio – suo Padre – si sarebbe riconosciuto, Gesù lo sapeva da sempre, perché sapeva che così era il Padre suo. Ecco perché può dire: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno». «Questa pretesa sbalorditiva è il cuore della vita e del messaggio di Gesù! La resurrezione di Lazzaro è solo l’occasione per la manifestazione del vero mistero di Gesù. Infatti quella di Lazzaro non è propriamente una risurrezione ma la rianimazione di un cadavere e Lazzaro non entra in un nuovo livello di vita (“eterna”, cioè non più mortale), ma morirà ancora! "La risurrezione della carne", che professiamo nel Credo, è " la vita eterna". Questo è il destino che ora Cristo restituisce all'uomo: non una rivivificazione (o una reincarnazione!), ma una pienezza di vita, la vita stessa di Dio! “Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo?” Tale rimane per sempre la domanda che assilla il cristiano e la chiesa dentro la storia di questo mondo, e sulla fede in “questo!” si decide e si qualifica la sua vita e la sua morte. Infatti è la fede in Cristo che riscatta dalla morte, ieri come oggi. Gesù è risuscitato per essere "il primogenito dei risorti", non un caso unico. Ha fondato con la sua morte una nuova solidarietà creaturale, un’appartenenza eterna che non sarà mai più insidiata dalla morte: […] "quel medesimo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" (Rm 8,11)» [Giuliano].
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