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martedì 22 novembre 2011

I Domenica di Avvento: Marco 13,33-37

«Oggi, prima domenica di avvento, il nuovo anno liturgico inizia là dove il vecchio è finito. La stessa pagina finale del Vangelo (di Marco, questa volta!), con l’ultimo avvertimento di Gesù, prima del racconto della passione, come domenica scorsa, nel vangelo di Matteo. Il linguaggio è diverso, ma la preoccupazione è la stessa del racconto del giudizio finale: introdurre il discepolo di Gesù nella consapevolezza ‘cristiana’ del significato della vita in questo mondo e nella storia presente!» [Giuliano].

Certo, il fatto che il vangelo di oggi tratti del medesimo argomento di quelli delle domeniche scorse – seppure nella versione di Marco, invece che in quella di Matteo – dovrebbe agevolarci… Ormai dopo tre domeniche a parlare del “discorso escatologico” nel vangelo di Matteo (capp. 24-25), dovremmo essere degli esperti…

Ma la sensazione non pare molto confermare questo pronostico… Anzi… Di fronte al vangelo odierno di Marco, sembra che tutto sia nuovamente da rispiegare, ricontestualizzare, ricomprendere…

È una fatica che facciamo volentieri, confortati soprattutto da quanto diceva J. Schmidt («quello che viene chiamato il discorso della parusia, l’apocalisse sinottica, figura tra i passi più incomprensibili del Nuovo Testamento e, di conseguenza, tra i più contestati di tutta la tradizione sinottica», J. Schmidt, L’evangelo secondo Marco), ma che – dobbiamo rilevarlo – dice qualcosa degli automatismi con cui leggiamo la Parola di Dio.

Non riusciamo a toglierci dalla testa le precomprensioni paurose su Dio che ci abitano fin da piccoli, perciò sentir parlare di “necessità di vegliare” perché il padrone potrebbe tornare all’improvviso e trovarci addormentati, è un annuncio che suggerisce più sensazioni spiacevoli (angosciose, timorose, inquiete…) che reazioni gioiose, come di fronte ad un lieto annuncio…

E questo dovrebbe darci da pensare…

Perché – leggendo questo testo – ci viene subito in mente la scena di un padrone rabbioso che torna a sgridare o – peggio – malmenare, i servi che trova addormentati?

Perché non ci viene in mente una scena diversa? Per esempio quella di un papà che ha detto al suo bimbo “Guarda che quando torno dal lavoro giochiamo un po’ insieme!”… e il bimbo l’aspetta, l’aspetta… e se anche tarda e lui crolla dal sonno, non vuole andare a dormire…?

L’immaginario che ci abita rispetto ai testi evangelici è molto indicativo dell’idea di Dio che abbiamo in testa…

E credo che questo sia già un buono spunto di riflessione, per cominciare l’Avvento… l’attesa del Dio-con-noi…


Ad ogni modo… tornando al testo… Esso – come dicevamo – consiste negli ultimi versetti del discorso escatologico (quello sulla fine / sul fine della vita / della storia) di Marco, che occupa tutto il capitolo 13. E – ovviamente – per essere compreso va collocato all’interno di questo suo alveo. È perciò di tutto il capitolo 13 che è necessario occuparsi.

«Il discorso, a una lettura appena un po’ attenta, si rivela composito, formato da parole del Signore diverse per genere e per origine: detti alla seconda e terza persona, annunci profetici, esortazioni morali, parabole, immagini apocalittiche. In un certo senso si potrebbe dire che autore del discorso è l’evangelista stesso: a lui si deve, infatti, il quadro introduttivo (vv. 1-4: «Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”. Gesù gli rispose: “Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta”. Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: “Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?”») e sua è la composizione, che organizza in un modo assai significativo il materiale sparso che giunge dalla tradizione e che affonda le sue radici nelle parole del Signore. E così si può dire, per un altro verso, che il discorso risale a Gesù, quasi un testamento lasciato alla comunità: il Signore prevede tempi difficili, disorientanti, e richiama alla fedeltà e al coraggio» [B. Maggioni, il racconto di Marco, Cittadella Editrice, Assisi 199912, 180].

Esattamente questo è il primo punto del discorso escatologico: il fatto cioè che nella vita di Gesù, poi nella vita della Chiesa e infine nella vita di ciascuno siano da prevedere (mettere in conto) tempi difficili.

Una constatazione rispetto alla quale ovviamente sorgono spontanee alcune domande: Quando accadrà questo? E soprattutto: Che fare?

La prima domanda è pressoché lasciata cadere: Marco sembra anzi, addirittura, prenderne consapevolmente le distanze («Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre», Mc 13,32). Il fulcro del discorso non è la curiosità sul futuro, sul come e sul quando, ma sulla decisività del presente, che prepara quel futuro!

Anche perché – dentro al discorso più ampio della fine della storia universale – nel discorso escatologico è contenuto il ben più impellente riferimento alla fine della storia di ciascuno. Come a dire che se anche a noi sembra molto lontano un discorso sulla fine della storia (un discorso talmente più grande di noi che credo ci lasci sostanzialmente indifferenti: “Speriamo solo non accada proprio ora che ci siamo noi”…), molto più interpellante è invece un discorso che fa riferimento alla fine di ciascuna storia, alla fine della storia di ciascuno. Perché questa decisività ce l’abbiamo scritta dentro tutti: tutti sappiamo che nessuno di noi scamperà alla morte!

Ecco, di fronte a tutto questo la prospettiva di Marco e credo anche la nostra, non è una curiosità morbosa sul come e sul quando, ma un’attenzione al: “Allora che fare? Come vivere questa vita visto che c’è una fine?”.

La domanda è perciò sul presente; è la seconda che ricordavamo: “Che fare?”.

E le indicazioni sono sostanzialmente tre, collegate tra loro:

-          «Badate che nessuno v’inganni! Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”. […] Se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là”, voi non credeteci; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare gli eletti»;

-          «Non allarmatevi»; «Non preoccupatevi»;

-          «Fate attenzione»; «Vegliate».

Dunque: non perdere di vista il vero volto del Signore, (e quindi) non temere, (e quindi) vegliare/aspettarlo.

Questo è l’annuncio del brano odierno… in mezzo alle difficoltà della vita, alle difficoltà della storia che ci potrebbero far temere un’orfanità («il discepolo pare scoprirsi come abbandonato e lasciato solo due volte: dal Padre che l’ha creato e poi abbandonato nei pasticci di questo mondo inospitale; poi dal Figlio, che il Padre stesso ci aveva mandato per salvarci» [Giuliano]), il Signore pone la sua Parola: non confondete il mio volto (emblematicamente fissato nel dono d’amore della croce, anticipatamente spiegato nell’ultima cena), rivelazione ultima dell’amore paterno di Dio. Perciò, non temete e vegliate perché «quando vedrete accadere queste cose, egli è vicino, è alle porte».

L’annuncio escatologico del nostro brano è perciò quello di una vicinanza, di un esser-ci del Signore, di un suo essere “alle porte”… proprio quando sembra che il mondo e/o la nostra vita siano in preda ad una catastrofe!

Ecco perché la Chiesa ha scelto proprio questo brano per l’inizio dell’Avvento: perché la disposizione con cui ci mettiamo ad aspettare questo bambino che nasce, non sia abitata dall’infantilismo fiabesco (con cui spesso rinarriamo quell’evento), che ci porterebbe a trattare Gesù come Babbo Natale: una consolante invenzione… E nemmeno da quell’ansia timorosa di chi ha paura dell’arrivo di Dio, perché chissà come se lo immagina… Ma sia colma dello sguardo di quel bimbo che aspetta il ritorno del papà dopo il lavoro, per stare un po’ insieme… Un attesa dolce – dunque – non certo timorosa… e vigile… di quella vigilanza e “occhio attento” con cui i bambini che aspettano i loro genitori, li riconoscono tra mille, senza confondere il loro volto con quello di altri!

1 commento:

semedisalute ha detto...

Puoi ben capire come questa tua analisi mi tocchi particolarmente, ora.

Grazie.

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