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domenica 1 marzo 2009

Gettati nella mischia per essere figli

Miguel Angel Reyes - Llave, Lotta
Spinti tra le braccia di Satana per incontrare quelle del Padre?
L’espressione evangelica “tentato da Satana” (peirazómenos úpò toū satanā) esige prima di tutto una comprensione del significato delle parole tentare e tentazione…
Tentazione e tentato (dal verbo tentare) sono espressioni strettamente collegate rispettivamente al sostantivo tentativo (péira) e al verbo tentare (peiráō): queste espressioni hanno in sé il concetto di “portare al di là”, “portare fuori”, “sforzarsi di arrivare oltre” (cf Tentazione in Diz. Teol. Concetti N.T., ed. EDB)… e quindi per estensione tentare, mettere alla prova, provare, misurare, valutare, verificare, soppesare, pesare, spingere oltre… L’immagine che più si avvicina è quella delle “prove di resistenza” dei materiali che si fanno nei laboratori scientifici: si porta il campione al punto di rottura e se ne conoscono così le qualità di resistenza (alla trazione, compressione e torsione…) per permetterne l’uso adeguato alle sue “capacità”…

Ma cosa, chi, spingere oltre? E dove? Oltre il proprio limite per valutarne la tenuta!
In questo senso “tentare Dio” è un’espressione usata anche nell’AT. È volerne misurare la pazienza, la misericordia, portarlo al limite di sopportazione per misurarne i limiti: “voglio vedere quanto resisti a…”: volermi bene, essermi amico, proteggermi, sopportarmi, a sopportare… (da qui gli attestati continui alla infinita misericordia di Dio, alla sua infinita grandezza, potenza, ecc.!). È evidente qui come essa sia quindi collegata a una mancanza di fiducia, di fede: “non ci credo veramente che sei capace di”… volermi bene, essermi amico, proteggermi, sopportarmi, a sopportare…!

Sempre in questo senso anche nel libro di Giobbe, ancora Satana propone a Dio di misurare la fedeltà di Giobbe! E Dio acconsente!?! «Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai…» (1,11)!

Persino Giobbe rimprovera proprio questo a Dio: «Che cosa è l’uomo perché tu lo renda grande e presti a lui attenzione, e lo visiti ogni mattina mettendolo alla prova ad ogni istante?» (7,17ss). E anzi lo sfida: «Ma egli conosce la strada che io prendo; se mi provasse, ne uscirei come l’oro» (23,10)… Dai, provaci! Ti terrò testa!

Interessante notare anche il cinismo degli amici: : «Sia dunque Giobbe provato sino alla fine, perché le sue risposte sono come quelle degli uomini malvagi» (34,36)… Ovvio, direbbe san Giovanni, chi non si fida di Dio, come può fidarsi degli uomini, e viceversa?

Ma Giobbe in fondo invece si fida, da qui la sua “confessione di fede” nell’impossibilità di misurare Dio: «Oh, sapessi dove trovarlo, per poter arrivare fino al suo trono! Esporrei la mia causa davanti a lui, riempirei la mia bocca di argomenti. Saprei le parole con le quali mi risponderebbe, e capirei ciò che avrebbe da dirmi. Contenderebbe egli con me con grande forza? No, invece mi presterebbe attenzione. Là l’uomo retto potrebbe discutere con lui, così sarei assolto dal mio giudice per sempre. Ecco, vado ad oriente, ma là non c'è; ad occidente, ma non lo scorgo; opera a settentrione, ma non lo vedo; si volge a mezzogiorno, ma non riesco a vederlo» (23,3-9).

E cioè qualora il metro dell’attenzione, della discussione e dell’assoluzione è quello del “cercare di”… sapere, capire, contendere, come tentativo di “misurare”, vagliare, tentare Dio, coerentemente non si può che concludere che, visto che “non riesco a” sapere (non so!), a capire (non capisco!), a dialogare (non contendo!)..., non si può non affermare che allora Dio non mi presta attenzione, non si può discutere con lui, non può assolvermi! Cioè c’è già qui presente in modo abbastanza inaudito per il nostro pensiero occidentale, che la conoscenza di Dio è influenzata dal mio rapporto con lui e non il contrario: se non mi fido di lui, non posso, non solo conoscerlo, ma neanche volerlo conoscere! È solo la fede-fiducia reciproca che ci permette di incontrarLo e di incontrarci! E questo vale anche tra gli uomini!

Questo per dire che il tema della “tentazione” è un tema talmente fondamentale che necessariamente è sotteso a tutto il discorso biblico e non basta cercare la parola “tentazione” ma occorre cercare il contenuto semantico che essa esprime cioè tutte quelle espressioni che in un modo o nell’altro rimandano a ciò che i lemma “tentare” e “tentazione” significano: e non solo le espressioni “affini” (si veda ad esempio i termini “stanchezza”, “stanco”...) ma anche i gesti e i comportamenti, come abbiamo visto nel Satana in Giobbe, dove la parola tentazione di per sé non c’è, ma c’è l’azione del tentare, del provare…
E questo ci fa dire che se è vero che il tema dei 40 giorni del Vangelo di oggi richiama il cammino nel deserto, l’idea della tentazione rinvia a tutta la storia di Israele e anzi dell’umanità! Al rapporto uomo-Dio, Dio-uomo e al rapporto uomo-uomo!
È chiaro che sviluppare adeguatamente questo tema esigerebbe la rilettura integrale della Bibbia sotto questa prospettiva…

Ora in tutte queste “tentazioni” nel senso sopra brevissimamente esposto che cosa è in questione? A cosa dobbiamo “resistere”?

Sempre prendendo da Giobbe (ma Alessandro D'Alatri: Il giardino dell'Eden, Gesù è spinto nel desertovedi anche ad esempio Abramo e il “sacrificio” di Isacco in Genesi 22)… quello che è in questione, non è tanto in primis l’idea che io ho di Dio, il “chi è Dio?”, “il suo volto”, ma il nostro rapporto con lui. La questione è “come ci relazioniamo con lui? (Eva, Abramo, Mosè, Israele, Gesù…)! La bibbia dice il “chi” attraverso la storia della “relazione”: ed è proprio questo a cui rimanda il nome di Dio rivelato a Mosè, Yhwh.

Insomma è il nostro rapporto con l’altro che ci rivela chi è l’altro: se lo trattiamo da nemico, lo vediamo nemico e non lo conosciamo affatto! Ecco perché “bisogna” amare il nemico: uno non “è” nemico, lo facciamo nemico, decidiamo noi che sia così o meglio lo lasciamo decidere alle le nostre paure di cui diventiamo schiavi. In una parola Dio, l’uomo, la donna, il creato, ci è nemico se gli siamo nemici, ci sono stranieri se decidiamo di essergli straniero!

Il Tentatore è proprio colui che accusa (da cui il nome satana: a cui si oppone la difesa dello Spirito e Gesù come “avvocati, difensori”, mediatori, intercessori) uno dei “poli” del rapporto di amicizia (alleanza): Dio (Genesi, e qui nel Vangelo), l’uomo (Giobbe, e sempre qui nel Vangelo) e cerca di creare una rottura, una crasis: divide (da cui il nome diavolo: a cui si oppone la comunione nello Spirito di Cristo) con lo scopo di porre se stesso come centro di una relazione asimmetrica (Mammona, qui Satana cfr passi Mt 4,1ss; Lc 4,1ss)… Incredibile, nel nostro brano genesiaco, il passo in cui Dio si pente di essersi pentito di aver creato l’uomo: anche Dio cioè si “confessa” di aver ceduto alla tentazione… ed è tentato di cedervi… e lo tentiamo ogni volta che gli chiediamo di usare il nostro criterio di giustizia! Ma Dio da Noè, ha deciso di esserci Padre e di esserlo per tutti! O almeno questo è il significato che l'episodio biblico dell'arca ci vuole trasmettere: non sognatevi di pensare che Dio possa cessare un giorno di esserci Padre (o non esserlo per il malvagi!)... perché da sempre ha deciso di esserci Padre e mai si rimangerà la propria paternità, anche se lo tentiamo! Anche se, assumendo il ruolo di accusatori (satan) cerchiamo di separare (diaballo) il Padre dai suoi figli e i figli dal loro Padre (magari per tenercelo tutto per noi: cf Caino)...

La questione è insomma il “tentativo” di mettere in discussione la figliolanza: “il nostro essere figlio/a!” a cui cor-“risponde” l’espressione “padre”, “mio padre”, “padre vostro”, “padre nostro”: che non a caso sono “in-vocazione”, preghiera e che qui sono tutte espressioni implicite nel termine “tentazione” come loro negazione, gli altri evangelisti invece esplicitano le tentazioni col rischio però di ridurle ad alcuni aspetti della vita, mentre è la Vita tout-court che è tentata (persino in Dio, persino del Padre) di diventare Morte, di restare senza figli, sterile, perché i figli sempre sono anche un problema, che scombussolano la vita, persino di Dio!

Tornando al Vangelo, la Tentazione (con la t maiuscola) permanente di Gesù e la nostra, non è la tentazione moralistica e pulsionale della nostre “voglie”, la Tentazione è quella per cui Gesù ha pregato e ci invita a pregare “non ci indurre in tentazione”… di cui il “non abbandonarci nella prova” è solo un aspetto! Una traduzione più vicina a noi non ci esime dalla comprensione profonda… Allora questa prova in cosa consiste? È un termine complesso abbiamo visto, che non è spingere al peccato, anzi il peccato ne è la conseguenza…

Sostanzialmente quindi il problema della tentazione è il decidersi di “non voler stare solo” (Dio col diluvio, Adamo), “non volersi fare da sé” (peccato di Adamo… e per questo Dio nella storia si serve di “inviati”, profeti, apostoli), rifiutare il parricidio (Gesù), il figlicidio (Dio a Noè, la Risurrezione di Cristo)!
Allora che cosa vuol dire essere figlio (e per converso Padre)? Essere figlio vuol dire lasciarsi coinvolgere in una storia di comunione (alleanza) con Dio che solo allora “diventa” Padre. Questa storica concreta di comunione, Gesù la chiama “Regno”! Decidere di lasciarsi coinvolgere in una avventura nuova con Dio accolto come Padre… ecco perché Gesù subito annuncia il Regno… ecco perché conversione vuol dire “cambiare direzione” proprio come tentazione, vuol dire andare “al di là” del rapporto, emanciparsi, rompere il rapporto, cambiare strada, costruirsi una storia per conto proprio, solipsisticamente… Ecco allora la sola vera tentazione presente in ogni tentazione: di chi vuoi essere figlio? «“Se” sei figlio… non è possibile che», “il tuo essere figlio… ti dà diritto di..”, ecc.

Il deserto come dimensione permanente del cammino nello Spirito!
Anche lo Spirito “tenta”, anche Satana “spinge”: solo che uno spinge al deserto (le prove di Giobbe) cioè all’abolizione di ogni stampella nell’affidarsi a Dio: e là, la fede o cresce o crolla. Ma in questo senso dal deserto non si deve mai uscire, se non si vuole uscire dalla fede, dal rapporto con Dio, in cui ci decidiamo (“sì o no”) come figlio. Da questo nuovo rapportarsi con Dio, “nasce”, prende corpo allora il volto nuovo di Dio, che si rivela solo allora Padre, nella misura in cui noi accettiamo di farci figli! Ecco perché Gesù rivela il Padre: in quanto figlio! Non per intervento “magico” ma per radicale figliolanza!
Alessandro D'Alatri: Il giardino dell'Eden, Gesù è provocato e si lascia pro-vocare
Dobbiamo stare attenti a non vedere i vari racconti di Gesù come se fossero separati tra di loro, come grani di un rosario… Come se Gesù una volta superata la prova si fosse lasciato il deserto dietro le spalle… Gesù e il discepolo sono nel deserto tutta la vita… non ne escono mai perché si lasciano guidare dallo Spirito e quindi ogni istante la loro figliolanza è “provata”: "Gesù fu tentato in tutto come noi, eccetto che nel peccato" (Eb 4,15): sempre, fin che era nella storia! L’illusione che noi abbiamo di porre fine alla tentazione è essa stessa una tentazione, una fuga, perché pretende di sottrarci dall’azione dello Spirito…

Infatti appena Gesù esce dal un deserto ne entra in uno ben più grande: Giovanni è stato ammazzato! Ma questo lo spinge ulteriormente ad andare oltre, ad impegnarsi, a gettarsi nella mischia, non a fuggire, ed annuncia il Vangelo!

Spero che siano chiari ora i due movimenti contrari: lo Spirito spinge alla lotta, satana alla fuga! L’uno alla comunione, l’altro alla separazione…
Per questo appare fondamentale notare che anche lo Spirito (pneuma) “spinge”, “getta oltre”, “getta, spinge fuori” (ekballei) ma nel deserto cioè tra le braccia di satana, perché forza alla lotta, lo Spirito cerca lo scontro (cf “addestra le mie mani alla battaglia” Salmo 22,35)… È veramente “strano” il cristianesimo, mentre tutte le religioni spingono alla fuga dal male… lo Spirito spinge all’incontro, ad affrontarlo…. vittoriosamente! Si veda Paolo in 1 Cor 12,9 quando chiede di essere liberato dalla “prova” e Gesù risponde: ti basti la mia grazia!... È come se Dio lottasse contro la sua stessa tentazione di non esserci più Padre (siamo fatti a sua immagine anche in questo?!) in un vero corpo a corpo (cf Gen 32,26 in cui Giacobbe costringe Dio ad essergli Padre: «Non ti lascerò andare, se non mi avrai prima benedetto! E vince! E Dio si lascia vincere perché vuole “essere” e rivelarsi Padre) e ci spingesse per questo a lottare contro la tentazione di non esserGli più figlio: perché se non c’è il figlio, non c’è il padre! E così scopriamo che nemmeno Dio è Padre “automaticamente”… ma decide di esserlo in ogni istante “restando fedele a se stesso”… Insomma saremmo stati “tentati” anche se non avessimo mai ceduto alla tentazione, anche se non esistesse il peccato originale…

Lo Spirito, il deserto-satana e la prova sono quindi l’itinerario di un solo movimento che spinge tra le braccia del Padre e dei fratelli… attraverso “l’abbraccio” con satana! Altro che la banalizzazione che noi facciamo del diavolo: il Vangelo risponde qui al nostro peccato (si badi bene: dico peccato, non tentazione!) che ci fa credere che il diavolo, l’accusatore, il nemico, sia l’altro o sia altrove, invece siamo noi stessi, è dentro di noi, è persino in Dio: è la voglia che noi abbiamo di starcene da soli in pace, senza troppi problemi! È la tentazione solipsista!

Allora, l’amore del Padre e l’amore del figlio, si concretizzano storicamente in una storia che nella maturazione del loro rapporto, li fa Padre e figlio in una storia comune che si chiama Regno, giustizia nuova, nuova alleanza! Ed ecco perché Gesù è nuovo Mosè, guida autentica di una alleanza rinnovata: conduce al Padre, perché conduce all’unica figliolanza possibile! La scoperta del volto di Dio, insomma non nasce da uno studio biblico, né teologico, né filosofico, né da una testimonianza strettamente intesa… ma nasce da un incamminarsi, ingaggiarsi, gettarsi nella mischia, coinvolgesi e lasciarsi coinvolgere in una storia in cui noi accettiamo di rivelarci al volto di Dio come figlio/a e questo ci rivela Dio come Padre e lo rivela agli altri uomini chiamati ad essere figli: infatti è il Figlio che rivela il Padre… e più uno è figlio e più mostra il Padre: nostro compito (conversione) allora è fare che Dio ci sia Padre. Fare che il Padre sia! Ed è quello che ci testimoniano gli apostoli e qui la prima lettera di Pietro!

Sinteticamente, nella lettera agli Ebrei (5,8) c’è espresso analogamente lo stesso pensiero: come Gesù anche per noi, è imparando l’obbedienza, è facendoci figli, che riconosciamo il volto di Dio come volto di Padre, cioè volto salvifico: costi quel che costi (il deserto, la lotta: cf Apocalisse), altrimenti sarebbe cedere alla tentazione, rompendo il legame, l’alleanza, la figliolanza, la familiarità! Ma uccidendo il Padre, uccidiamo necessariamente il figlio che noi siamo!

Alessandro D'Alatri: Il giardino dell'Eden, Gesù vince e accoglie la pro-vocazione

6 commenti:

Danila ha detto...

Caspita! Sono rimasta a bocca aperta. Una spiegazione mai sentita prima, ma molto convincente. Vediamo se ho capito: sai che penso? Che effettivamente addossare le colpe della nostra scarsa figliolanza verso il Padre, al Tentatore - quindi tenerlo ben separato dal nostro "io" - un'entità a sè stante quindi, è un voler scrollarsi di dosso ogni nostra responsabilità al riguardo. Come i bambini che, quando vengono redarguiti, nel temere una punizione, puntano il dito dicendo: "non è colpa mia, è stato lui!". E prendere le distanze dal Padre è la tentazione che maggiormente attrae le persone, pare loro di vivere senza dover lottare. Infatti, se per me il Padre non c'è, non c'è neppure il suo antagonista per antonomasia:dia-ballo: ovvero la causa della divisione finirebbe col non sussistere. Ma che vita è vivere orfani di tanto PADRE?

Mario ha detto...

@Danila
Non lo so perché io non sono orfano e comunque sia non mi sento tale... ma pare che quel tipo di vita non sia poi tanto male! Altrimenti non potrebbe sussistere la tentazione: non si è mai tentati al male, si è tentati per qualcosa di veramente buono, bene, bello, vero! Come il frutto del giardino, come la torre che ci si costruisce... come il sesso, i soldi, il potere... È un'alternativa veramente possibile e non credo poi così infernale: scegliere tra l'inferno e il paradiso, tra la possibilità di diventare un mostro con corna e coda o un simpatico angioletto con le alette... che scelta idiota è?
La vera tentazione è dover scegliere tra bene e bene, tra bello e bello, tra vero e vero... io credo che questa sia la tentazione di Gesù, la più radicale, quella che ci "incastra" tutti e su cui tutti cadiamo... questa sì originaria!
Ecco allora la novità evangelica, io scelgo il vero, il bello, il buono, in cui ci sei tu! Magari meno vero, magari meno buono, magari meno bello: ma là ci sei tu e questo mi basta per rendere vero, bello, buono anche l'inferno! E solo questo è Verità! E resta grande il mistero che persino il Padre pur potendo far a meno di noi (con tanti problemi in meno!), persino di Gesù... non abbia voluto farne a meno!
Non ci resta che dire "Grazie"! e restare a bocca aperta, pieni di stupore!

chia ha detto...

@Mario:

interessante a proposito di quanto dici che il tentatore nel vangelo di Matteo e Luca, tenta Gesù citando la Bibbia, lui stesso. La tentazione è una lotta esegetica, altro che donnine nude da una parte e Madre Teresa dall'altra!!

'ntonia ha detto...

Grazie.
Mi occorre un pò di tempo...
Se mai arriverò a capo di qualcosa...
Intanto cerco di "barcamenarmi" come posso, con la certezza che avrò sempre e comunque bisogno di aiuto.

Mario ha detto...

"barcamenarmi": cioè condurre la barca... Come Gesù, come ogni suo discepolo! Sei in ottima compagnia! ;o)

Danila ha detto...

Te l'ho già scritto, che sei come uno tsunami per me? Anche stavolta hai sconquassato, rivoluzionato la mia idea sulle tentazioni, che ho sempre creduto il male alternativo al bene. Davvero non avevo mai pensato che la tentazione consistesse tra bene e bene!! Sei sorprendente! E' una angolazione diversa da quella che mi sono sempre sentita dire ma, a ragion veduta, mi pare la più vera. Barcamenarsi, come dice 'ntonia, è il primo passo per andare avanti, se poi, aggiungo io, si impara a nuotare (è troppo presto pensare di camminare sulle acque!!!), allora si riesce ad attraversare il mare della vita secondo Cristo, così come Lui ha attraversato il lago di Tiberiade. Grazie per il chiarimento. Devo buttare le botti vecchie (vecchi concetti), poiché il vino nuovo va messo in botti nuove. Giusto?!

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