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lunedì 1 gennaio 2007

Introduzione articoli a "Il Carmelo Oggi"

Quando mi fu chiesto di contribuire a questa rivista con qualche articolo sulla “tematica missionaria” che “aiuti i lettori (e tutti noi) a maturare dentro uno spirito missionario”, vi confesso che stavo per rifiutare, sentendomi, nonostante l’esperienza vissuta in “terra di missione”, alquanto inadeguato ad affrontare il tema… Altri saprebbero farlo certamente meglio di me. Ma visto il numero esiguo di lettori, paganti, (da cui se ne deduce lo scarso interesse di chi evidentemente non ritiene valga la pena di sostenere lo sforzo e la fatica di tanti che vi lavorano), mi sono convinto che comunque vadano le cose, e qualunque cosa scriva, il “danno” arrecato alla rivista e ai suoi fedeli lettori non sarebbe poi stato così esteso…
Va da sé quindi che quello che scriverò non impegna che me stesso, e il lettore vorrà scusarmi se non sempre quello che dico combacerà con la sua esperienza e la sua riflessione di fede. Se invece quello che leggerà in queste righe lo aiuterà a crescere e a maturare nella vita cristiana, sappia da subito che non è certo merito mio, ma di tutte quelle persone, soprattutto confratelli e consorelle nel Carmelo, che in un modo o nell’altro mi hanno aiutato a scoprire il valore delle cose che ho vissuto e che vivo.
Non mi resta che aggiungere quello che dissi anni fa, ancora diacono, al mio ritorno dalla mia prima esperienza missionaria in terra camerunese, a un mio confratello, che mi chiedeva ragione di quello che dicevo, stupito come era della “diversità delle cose che comunicavo” sulla mia esperienza “missionaria”, che si distaccavano alquanto — sempre a suo dire — dalle esperienze e riflessioni degli altri missionari… Gli feci notare, e ora lo faccio notare a tutti voi, che “…quando un missionario, torna dall’Africa, di tutto quello che dice, occorre gettare l’80-90% e ritenere per buono il 10 o al massimo il 20%, in quanto troppo forti sono i “toni”, le esperienze, per riuscire a darne una descrizione fredda e distaccata, che si avvicini ad un’analisi oggettiva dei fatti”. Al ché lui, con quell’arguzia che da sempre lo distingue, con un sorriso ironico mi chiese “Devo includere quello che mi stai dicendo nella regola appena datami?”… Annuii con una fragorosa risata… Anche perché come dicevo tutto sembra più grande visto da... lontano! Lettore avvisato…

Il problema sta però nel cominciare… un certo sentimento di pudore mi invade, in fondo scrivere è un po’ come confessarsi, pubblicamente… Sì ma da dove partire? Come riuscire a districarsi nel marasma di immagini e sensazioni che si sovrappongono in me… da dove partire per camminare insieme a comprendere al di là del fatto episodico, il senso profondo della vocazione cristiana e dell’essere missionari? E se cominciassi dall’inizio? Sì, ma dall’inizio-inizio, là dove tutto ha avuto origine, la culla di ogni vocazione, di ogni missione, ogni vocazione: dalla cresima. Che c’entra, direte voi, la mia cresima, con la mia esperienza in terra di missione? C’entra, c’entra, in quanto ritengo che tutto sia cominciato da lì, e da quello schiaffo che Mons. Tarcisio Benedetti, vescovo di Lodi, mi diede quel giorno. Io di quella cerimonia ricordo solo quello schiaffo, altro che buffetto, il suo fu veramente qualcosa di più, ne sento ancora la sensazione sulla guancia, diciamo che gli scivolò la mano... Diciamo che assegnò per sempre alla mia memoria di bambino, il ricordo che nella vita cristiana non ci sono solo carezze ma anche schiaffi e chissà perché si cresce di più ad affrontare il disagio che a crogiolarsi nell’agio… La cresima ti faceva “Soldato di Cristo”, si diceva allora, già, ma con quali armi? Imparerò crescendo che era un esercito disarmato… Ma una cosa era già certa fin da allora: essere cristiani non aveva niente a che fare con una vita comoda e tranquilla, chiusa nelle proprie quattro mura. Non so chi abbia mai inventato la storia della religione come forma consolatoria, fuga dai problemi della vita. La religione forse, ma la fede non è cosa per timorosi di chi si accontenta di poco, di una vita “tranquilla”… Non è il luogo del “compromesso esistenziale”, e se compromesso c’è, è solo una breve sosta, un pianerottolo per prendere respiro e ricominciare l’avventura… Ecco ho sempre pensato che essere cristiani è come una grande avventura, la più bella, la più affascinante. Perché sempre, dove ci si trova, si è in “luoghi” che mai nessuno ha esplorato prima, perché dove devi andare tu, nessun altro può andarci, ma solo tu e il tuo Cristo… e per questo bisogna essere amanti del rischio, senza paura del nuovo che sempre ci si presenta… La “noia” non è cristiana! Forse è per questo che il Carmelo mi ha subito affascinato. La felicità, mi diceva qualcuno, è sapersi accontentare delle piccole cose. Sarà! Ma a me questa cosa non ha mai veramente convinto. Certo, se si intende, che a furia di sognare un cibo migliore si rischia di morire di fame, questo è vero. Ma c’è una dimensione della vita, che si nutre dell’“infelicità” di non essere ancora sazi. Come l’amore che si nutre di fame.
Diceva qualcuno, che “C’è chi passa la sua vita a sognare e chi invece fa della sua vita un sogno”. Ecco essere cristiani è proprio questa avventura in cui ci è proposto di realizzare nella nostra vita concreta, non il mio sogno, ma il sogno di Dio su di noi. Perché il sogno non si trasformi incubo per me e per i fratelli e sorelle che incontro.
Le nostre scelte concrete saranno modulate su questo sogno di Dio su di noi. Per cercare di “vedere” e giudicare le “cose” con “gli occhi di Dio”, per quanto possibile in questa vita. È il cammino che vorrei facessimo insieme attraverso queste pagine.
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